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Mkhitaryan, il fenomeno che la Roma ha preso a costo zero

Fan di Al Bano, ha fatto le fortune di Lucescu, Klopp, Tuchel e Mourinho. Ha segnato 18 doppiette e 6 triplette in carriera. A Trigoria è arrivato gratis, come Pedro

Mkhitaryan, il fenomeno che la Roma ha preso a costo zero

Uno dei problemi di Ibrahimovic è che è così ingombrante da straripare nelle pagine dedicate ad altri fenomeni, per poi ridimensionarne la fenomenologia. Se non avesse devastato il Napoli quasi in solitaria, domenica sera, già lunedì avremmo parlato – persino qui sul Napolista – di Henrikh Mkhitaryan. E non solo perché ingaggiò Al Bano per cantare Volare al suo matrimonio londinese.

Mkhitaryan ha un nome così difficile da giustificarne, a volte, l’anonimato:  Հենրիխ Համլետի Մխիթարյան, in armeno stretto. Se ne resta in ombra per pigrizia altrui. Ma ha dietro di sé una storia fatta di allenatori e numeri, di cui le doppiette – financo le triplette – romane di queste settimane sono solo l’appendice fluo, appariscente.

Messi in ordine, cifre e pedigree, fanno un po’ impressione: 44 gol e 24 assist con Lucescu allo Shakhtar, 17 gol e 17 assist con Klopp al Borussia, 23 gol e 32 assist con Tuchel a Dortmund, 13 gol e 11 assist con Mourinho al Manchester United. E ora i 15 gol e gli 11 assist con Fonseca che sono poi lo spunto per scavalcare quell’ingordo di attenzioni di Ibra. La doppietta al Parma è la diciottesima in carriera. Le triplette sono sei.

Come è capitato uno così in Serie A? Ora che a Napoli ci interroghiamo sulle sliding doors del mercato (Ibra era nostro, poi qualcosa è andato storto), saperlo alla Roma per zero euro rende meglio l’idea di quante occasioni possa riservare, a saperla guardare, la vetrina dell’usato.

La Roma ne ha presi due così, per rifarsi il tridente: Mkhitaryan e Pedro. Mettendo a bilancio solo gli stipendi. L’armeno in particolare si fa una certa fatica a considerarlo una sorpresa, per le ragioni di cui sopra. Che vanno spiegate meglio: Lucescu lo pescò per sei milioni nel 2010 al Metallurg moltiplicandone il valore in tre anni di Shakhtar. Il Borussia Dortmund lo pagò 30 milioni nel 2013 dopo 25 gol nel campionato ucraino. Klopp (di cui si parla per sproporzione delle sue doti motivazionali e mai abbastanza del suo genio commerciale) se lo tenne stretto per tre anni e 23 gol, cedendolo solo a Mourinho dopo che questi s’impuntò con la dirigenza per averlo. Solo all’Arsenal ha bucato: Emery e Arteta non l’hanno mai considerato “adatto” al loro gioco, ma soprattutto due seri infortuni (una frattura e una lesione muscolare) lo hanno messo in freezer.

Se tiri una lenza tra tutte queste tappe eccellenti – follow the money, si diceva un tempo – leggi le impronte di Raiola ovunque. E infatti. L’idea di sganciarsi dalla palude inglese nella quale s’era cacciato è sua: risoluzione del contratto e via a Roma. Da Fonseca.

Mkhitaryan va analizzato a braccetto con i suoi allenatori. Ha un curriculum di collaborazioni da superstar. Fonseca è il meno altisonante ma il suo sistema di gioco – parla il campo oltre che la lavagna – si adatta precisamente a quella mezzapunta affilata che l’Arsenal ora rimpiange.

Ogni volta che la Roma supera la metà campo in massa, in genere con almeno quattro o cinque giocatori in linea, i due trequartisti – lui e Pedro – si scoprono in una terra di mezzo accogliente priva o quasi di marcature pre-assegnate. Poi loro, essendo Pedro e Mkhitaryan con tutto il bagaglio d’esperienza internazionale annessa, ci sguazzano: vengono incontro per le sponde, spesso alternandosi, oppure quando lo stesso movimento lo fa Dzeko volano via in profondità. Se la difesa alza la palla per la punta, Mkhitaryan si fa trovare pronti per la seconda palla. Se invece le vie centrali sono chiuse, si allarga. Riassumendo: fa quel che gli pare, o almeno così pare. Ma fa soprattutto gol, e assist. Più di Pedro, per talento innato. A grappoli ultimamente.

Rientra, superata la soglia critica dei 30 anni, in quella selezione di giocatori che in Italia sta bullizzando i giovanotti di belle speranze: da Ibra e Ronaldo in giù. Li chiamano vecchi per questioni anagrafiche, e per sottolineare per contrapposizione il dominio di una generazione che fa valere in campo classe e velocità di pensiero. Mkhitaryan, non segnasse gol a caterve, potrebbe far parlare per sé anche solo le referenze: Lucescu, Klopp, Tuchel, Mourinho. Facendo pesare a noi tutti troppo accecati da Ibra il fatto di invidiarlo alla Roma solo ora. Con poco ritegno.

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