ilNapolista

L’Atalanta è meno favola di quanto la propaganda voglia far credere

Nel 2011 una promozione nonostante il calcioscommesse. Il razzismo, la statistica con la Juve, la narrazione di Percassi piccolo imprenditore (è il 36esimo uomo più ricco d’Italia)

L’Atalanta è meno favola di quanto la propaganda voglia far credere

“Dobbiamo spingere tutti l’Atalanta”. Le testuali parole di Beppe Bergomi nel salotto Sky del 5 agosto sembrarono quasi troppo faziose, tanto che poi “lo zio” si corresse subito con un “bisogna spingere tutte le italiane”.

La “favola” Atalanta tira tantissimo, anche dopo l’uscita dalla Champions. Addirittura ribattezzata “Italanta”, per la sua presunta capacità di superare le barriere geografiche e unire tutti gli italiani grazie alla sua italianità. Premesso che ormai quasi neanche più la nazionale riesce ad affratellare i tifosi italiani, figuriamoci una squadra che (nella stagione appena conclusa) aveva in rosa appena 5 calciatori italiani (di cui 3 portieri, e in campo ne va uno solo alla volta) e ben 17 stranieri. Tacendo (per ora) degli atteggiamenti del pubblico e della società che poco hanno di affratellante. Ma ne scriveremo più avanti.

Poi c’è l’allenatore, lui sì italiano, ma che un giorno sì e un giorno no riesce a fare o dire qualcosa di divisivo, tipo l’ammissione di essere andato a Valencia a guidare la sua squadra dopo essere stato contagiato dal Covid-19.

Una squadra per cui anche solo mostrare neutralità induce alla diffidenza. Insomma, una squadra da spingere e tifare a tutti i costi. E adesso che è fuori dalla Champions e la stagione è finita fa ancora più notizia, moderno Dorando Pietri caduto a pochi metri dal traguardo.

Ma perché tutta questa attenzione mediatica, oltre al fatto che si tratta certamente della realtà più bella apparsa nella provincia calcistica italiana negli ultimi anni?

Il mito e il fascino di Davide contro Golia può funzionare fino ad un certo punto. Si tratta di una squadra con un discreto fatturato (188 milioni di euro nel 2019, e il bilancio più florido di tutta la Serie A), il cui presidente Percassi, proprietario della holding Odissea che ha fatturato 623,5 milioni di euro nel 2019 (+14%), è appena entrato nella classifica degli italiani più ricchi stilata da Forbes 2020 (al 36esimo posto). E che nel frattempo continua a vantare rapporti privilegiati col salotto buono del calcio italiano.

In questi ultimi anni la Dea ha spesso goduto di grande indulgenza mediatica, in particolare al momento della sua ultima risalita in serie A nel 2011, arrivata nel mezzo della bufera del calcioscommesse (che toccò anche la società bergamasca), tra sospetti di combine e con il suo allora capitano, Cristiano Doni, squalificato, eppure stipendiato dal club la cui immagine aveva macchiato con i suoi comportamenti illeciti.

La puntata di Presa Diretta di Riccardo Iacona del 13 gennaio 2013, intitolata “Ladri di calcio”, evidenziò terribili ombre sulla promozione della squadra di Percassi, ombre davvero mai fugate.

La puntata integrale è tuttora visibile qui.

Ricordiamo che all’Atalanta furono comminati 6 punti di penalizzazione, da scontare durante il successivo campionato di Serie A (2011-12) solo perché il processo si svolse dopo la chiusura del campionato di Serie B, altrimenti la squadra bergamasca sarebbe stata costretta a disputare i playoff per provare a risalire nella massima serie. Di fatto la micro-penalizzazione ufficializzò il coinvolgimento della società orobica, che se la cavò invece con un buffetto.

Di questa promozione con ombre se ne è sempre parlato molto poco, e questa indulgenza mediatica è proseguita a lungo, nonostante le innumerevoli intemperanze del suo pubblico, autore di sistematici cori razzisti. È stata spesso additata dai media come squadra simpatia, benché società, allenatore e pubblico abbiano fatto pochissimo per rendersi simpatici. Ultimo caso quello del dirigente Moioli che apostrofò un poco opportuno tifoso napoletano con un ancor meno opportuno “terrone del c…”. E quasi per arrecare poco disturbo all’Atalanta, in questi anni in pochi hanno avuto il coraggio di evidenziare la stranezza statistica dei nerazzurri bergamaschi (che era poi l’oggetto delle battute ironiche dell’inopportuno napoletano di cui sopra). Ovvero le 31 partite consecutive senza vittorie contro la Juventus, il record peggiore di tutte le squadre di Serie A.

Tutto ciò che può guastare il quadretto idilliaco della favola Atalanta è guardato con sospetto, quasi con disprezzo. È bastato che Domenech, ex CT della Francia vice campione del mondo 2006, criticasse la strategia delle sostituzioni di Gasperini contro il PSG per sollevare un vespaio di polemiche.

In barba alle opinioni di Domenech, i telecronisti di Sky si sono spinti ad affermare che ormai in Europa l’Atalanta è divenuto un modello che tutti si affrettano ad imitare. Non il gioco del Manchester City di Guardiola, non il Bayern o il Liverpool. Bensì il gioco di Gasperini, che in Italia abbiamo ormai elevato a un mix tra Mourinho, Rinus Michels e Arrigo Sacchi.

Con tutto il rispetto per il mister di Grugliasco, è doveroso analizzare e contestualizzare questa pur splendida performance in Champions. Una squadra che era già in piede e mezzo fuori dalla Champions, battuta 3 volte su 3 e con ben 11 gol al passivo, e che grazie ad un City pigro e sprecone (un rigore sbagliato ed il portiere espulso per i Citizens), riesce a guadagnare quel punto che riaccende le speranze, anche grazie ai suicidi sportivi altrui, sia ben chiaro.

Poi succede l’imprevedibile, due vittorie e qualificazione a 7 punti (ad esempio l’Ajax è rimasto fuori con 10 punti). L’Atalanta, peggiore delle 16 qualificate, pesca la peggiore delle prime, il Valencia (che chiuderà addirittura nona in Liga). Un colpo di fortuna non indifferente, visti gli incroci delle altre squadre.

Poi la gara con il Valencia, vinta meritatamente, e la quasi impresa contro un PSG inizialmente impacciato, forse a causa della lunga inattività. Fino a quando i valori tecnici non hanno avuto la meglio.

Resta la quasi impresa a cui i media si aggrappano disperatamente in questa stagione disgraziata, lasciando che l’Atalanta diventi la gallina dalle uova d’oro, ancora di salvezza per l’immagine del calcio italiano.

Nonostante i cori razzisti, nonostante le ombre, nonostante sia un po’ meno Davide e un po’ più Golia di quanto in tanti pensano.

ilnapolista © riproduzione riservata