ilNapolista

Jorit e il no al murale su Pino Daniele: «Quando fai qualcosa a Napoli, c’è sempre chi ti critica»

Al CorMez: «A Napoli ci sono circa sessanta murales, io ne ho realizzati solo nove o dieci. L’associazione Inward lavora molto più di me. Non mi interessa l’aspetto economico, io credo nel mio lavoro»

Jorit e il no al murale su Pino Daniele: «Quando fai qualcosa a Napoli, c’è sempre chi ti critica»

Dopo il no dell’architetto Antonio Martiniello al murale dedicato a Pino Daniele a piazza Garibaldi, è arrivato quello della Soprintendenza: l’edificio di Nervi alla Stazione è patrimonio architettonico. Jorit risponde sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno.

«L’idea di dipingere il volto di Pino Daniele è mia e di suo figlio. Non lavoro su committenza, ma su progetti che mi convincono. A proposito del Palazzo di piazza Garibaldi non posso rispondere, non ho ancora gli elementi, bisognerà verificare, aspettiamo».

Jorit risponde anche a chi, come il regista Francesco Lettieri, parla di «monopolio» di Jorit nella street art a Napoli:

«A Napoli ci sono circa sessanta murales, io ne ho realizzati solo nove o dieci. L’anno scorso c’è stato un bando del Comune per realizzare 26 lavori, io non ne ho fatto nemmeno uno. C’è l’associazione Inward che lavora molto più di me. Non ho partecipato al progetto del Comune perché volevano impormi loro cosa disegnare. Per me non si tratta di decorazione, non è come fare un disegnino. Un murale deve dire qualcosa alla città, al territorio. Negli ultimi tre anni ho realizzato Diego, con le collette dei tifosi, e Niccolò, con il sostegno dell’Associazione a favore dei bambini autistici. San Gennaro l’ho fatto da me. Non mi interessa l’aspetto economico, il mio guadagno viene dai privati che mi chiedono lavori su tela. Sono convinto invece della capacità della street art di scuotere le coscienze. A Barra ho dipinto Martin Luther King per portare una figura rivoluzionaria in un quartiere dimenticato e ho interagito con molte persone, specie con i ragazzi. Non mi interessa fare l’intervento e andare via, bisogna costruire qualcosa. È quello che è accaduto a Taverna del Ferro, nelle palazzine del Bronx, dove poi è arrivata anche la figlia di Che Guevara».

E conclude:

«Quando una cosa si realizza mi sembra che a Napoli tutti si lamentino. Quando fai qualcosa c’è sempre chi ti critica. Come nel caso del murale da record del Centro direzionale, che ha fatto il giro del mondo. Ma a me non interessa, io credo nel mio lavoro».

 

ilnapolista © riproduzione riservata