ilNapolista

La lezione dell’Atletico Madrid di Simeone: se ne frega dell’estetica e vince

L’Europa League è il sesto trofeo dell’era Simeone. La forza di un progetto diventato vincente grazie allo spirito unico dell’ambiente

La lezione dell’Atletico Madrid di Simeone: se ne frega dell’estetica e vince

Essere dell’Atletico Madrid

Dieci giorni fa abbiamo pubblicato un pezzo sui significati dell’Atletico Madrid, in riferimento al tifo sportivo. Un pezzo bello, che parlava di finali perse, momenti di gioia infiniti, squadre che giocano male e provano a vincere e a fare più del possibile. Ecco, ieri sera c’è stato un altro momento di gioia infinita, per i tifosi colchoneros. Solo che questa vittoria in Europa League è stata diversa, da favorita e non da underdog. Grazie a Simeone, al suo progetto, alla crescita organica e corporativa di un club oramai entrato nell’élite europea.

Il Marsiglia è stato inferiore, in una misura quasi imbarazzante. Divario tecnico, fisico, motivazionale, accentuato dall’infortunio che ha cancellato Dimitri Payet, leader tecnico ed emotivo della squadra di Garcia. Insomma, non c’è stata partita. E il sesto trofeo nell’era-Simeone è arrivato in maniera lineare, quasi scontata viene da dire. È una sensazione differente, quasi lontana dall’identità storica dell’Atletico Madrid. I successi del 2012 (Europa League e Supercoppa Europea), del 2013 (Copa del Rey) e del 2014 (Liga e Supercoppa), esattamente come le due finali di Champions (2014 e 2016), furono avvenimenti inattesi. Con squadre forti, sì, ma decisamente inferiori alla concorrenza.

Nel frattempo, però, l’Atletico è cresciuto e si è compattato intorno alla propria idea. Di vita, di calcio, di gioco. Ha indovinato il proprio sviluppo migliore, abbracciando senza indugi l’esperienza totalizzante del Cholismo. Che sarà anche lontano dal canone estetico imperante in Europa, ma intanto vince. Non sempre, magari, ma l’Atletico è un club lontano dal gotha economico del Real, del Barcellona, dei top club inglesi. Eppure ha portato a casa tutto quello che poteva. E ha sfiorato quello che non avrebbe potuto, il colpo grosso, la Champions League. A Lisbona e Milano ha perso ai supplementari e ai rigori. Contro il Real Madrid.

Una strada

Non diversamente da Sarri, Guardiola o Klopp, Simeone ha modellato e costruito un modo di fare calcio. Un’idea unica, una strada propria. L’ha imboccata, l’ha percorsa, la sta percorrendo. Nel frattempo ha potenziato la macchina, perché i Griezmann e i Saul e i Diego Costa di oggi sono un’altra cosa rispetto ai Diego Costa, i Tiago, i David Villa di ieri. Non è una questione di semplice valore assoluto, quanto di dimensione raggiunta e toccata dal club, sul mercato e quindi nell’organico. L’Atletico di oggi continua a praticare un calcio difensivo, ma ha molto talento in più in tutte le zone del campo. Ha un nuovo, bellissimo stadio. Forse perderà Griezmann la prossima estate, certo, ma ha potuto riacquistare Diego Costa dal Chelsea dopo l’addio del 2014. Per dire: è appena sotto alle big del calcio mondiale, quando la logica dice che non potrebbe esserlo. 

L’ambiente

Funziona tutto, a Madrid. C’è un progetto tecnico, politico e dialettico che viene applicato e rispettato. Probabilmente viene anche schernito un po’, per la sua dimensione di apparente ricerca della bruttezza. Ma all’Atletico, giustamente, se ne fregano. Vanno avanti perché sono diventati grandi, ma grandi davvero, in questo modo. Sempre sul podio di Spagna, sempre protagonisti in Europa. Con un fatturato prima bassissimo e ora in crescita (94 milioni nel 2011, 347 nel 2017). Insomma, tutto è andato e sta andando verso lo sviluppo e il consolidamento del club in una dimensione di grandezza, avallata da risultati prima imprevedibili e oggi programmabili, o quasi.

Sì, perché l’Europa League è diventata un ripiego dopo una eliminazione inaspettata in Champions, per mano di Roma e Cheslea. Ci sta, può capitare, ma ecco un’altra lezione firmata Atletico: nessun processo, ambiente compatto intorno a Simeone e vittoria cercata, raggiunta e meritata nella seconda coppa europea. Più secondo posto in campionato, alle spalle di un irraggiungibile Barcellona e prima del Real Madrid.

«Simeone, in questi anni, ha costruito una squadra che fa più di quello che può. Che fa quanto serve per vincere certi titoli, magari non tanto per vincerne altri. Ma la vita è così, non puoi fare molto altro che spingerti al limite, anche oltre magari. Poi scopri che non è abbastanza, e allora ammetti la realtà. Pur provando orgoglio per ciò che hai ottenuto». Finiva così, il pezzo che vi abbiamo linkato all’inizio. È la descrizione di un’identità, che nel tempo si è trasformata in identità vincente. Infischiandosene di tutto e tutti, anche giustamente.

ilnapolista © riproduzione riservata