Un modello che sembra aver perso smalto, mentre la Dacia Arena smonta qualche luogo comune sulla narrativa degli “impianti in Italia”:
Due Champions League
Anni di grazia 2011 e 2012: l’Udinese si qualifica alla Champions League, è prima quarta e poi terza in Serie A. Nella seconda stagione, esclude il Napoli di Mazzarri dalla competizione europea più prestigiosa. Appena cinque anni dopo, il club friulano è stato completamente ridimensionato. Certo, quella squadra era fuori portata, fuori fuoco, nel senso che era un’eccezione virtuosa rispetto ad una storia calcistica non eccezionale. Ma ci sarebbe una via di mezzo, tra l’Udinese di oggi e quella dell’altro ieri. Solo che qualcosa si è inceppato, solo che qualcosa ha smesso di funzionare.
Player trading
Il modello gestionale dell’Udinese è sempre stato basato sullo sfruttamento intensivo del calciomercato. Ebbene, non è che le cose siano cambiate molto. Arrivano giocatori a frotte, anzi il circuito degli ultimi anni è stato anche “ingrandito” dall’esistenza delle squadre-filiali in Spagna (Granada) e Inghilterra (Watford) – che poi magari il club londinese sia diventato il core business della famiglia Pozzo, è un altro discorso. Però, ripetiamo, qualcosa si è inceppato. E basta vedere lo storico delle cessioni (più significativo di quello degli acquisti, ovviamente) per rendersene conto.
La campagna 2015/2016 è stata l’ultima ad essere davvero esplosiva: 74 milioni di incasso per Pereyra, Muriel, Allan, Penaranda, Basta, Vidra (di queste operazioni, “solo” due sono state concluse col Watford). Da lì in poi, Zielinski e poca roba: Nico Lopez, Verre, Piris, giusto un Bruno Fernandes. Più Guilherme, Gabriel Silva, Thereau. Insomma, è da tanto che il (meritatamente) incensato team di osservatori friulano non mette a segno un vero grande colpo. Potenzialmente ci sarebbero Jankto e Barak, oggi. Ma siamo ancora lontani dai Sanchez del passato, giusto per fare il nome più altisonante.
Dacia Arena
Il modello-Udinese, come detto e visto, si basa su una vera e propria filiera delle speranze. Per affermarsi in questo modo ci vogliono competenza e fortuna, doti che si possono comprare (la prima) ma non sono sempre certe (la seconda). Per questo, anche giustamente, il club friulano ha deciso di puntare anche sullo stadio di proprietà. Sulla Dacia Arena, evoluzione 3.0 dello stadio Friuli che fu.
Ecco, anche quella dello stadio di proprietà è una dinamica che in qualche modo va rivista rispetto al luogo comune. Se un impianto di questo genere non si inserisce o viene inserito in un piano organico e organizzato di crescita sportivo, resta un virtuosismo fine a sé stesso. Con questo, ovviamente, non vogliamo assolutamente sostenere una tesi contraria, anzi: un club che fa investimenti strutturali ha sempre ragione. In ogni caso la partecipazione dei tifosi, almeno nel nostro paese, dipende soprattutto dagli obiettivi della squadra. Quindi dai risultati. L’Udinese è un club che non produce (più) un calcio attrattivo, quindi l’investimento sullo stadio non ha ancora portato a importanti vantaggi economici o competitivi.
Lo scrivevamo già dopo pochi mesi dall’inaugurazione, a distanza di un bel po’ di mesi la situazione non è cambiata. In questo momento, il pubblico della Dacia Arena è pari a 16.690 spettatori per match (stagione in corso). Ed è in controtendenza rispetto al campionato: mentre la Serie A sta riscoprendo il gusto di uno stadio pieno o quasi (media generale in aumento), a Udine il pubblico è in diminuzione (l’anno scorso si erano sfiorati i 18mila spettatori di media). La capienza totale tocca quota 25mila spettatori. In questo momento, il load factor è pari al 66%.
Mettere insieme le cose
Insomma, siamo di fronte a un momento interlocutorio per il club bianconero. Dal punto di vista tecnico, la strada intrapresa ora con Massimo Oddo potrebbe essere coerente con la mission del club: un gioco propositivo se non estetico, ideale per sfruttare le qualità dei giovani in organico. Oltre a Barak e Jankto, ci sono De Paul, Perica, Fofana e Pezzella a cercare di trainare nel presente e nel futuro un modello che sembra aver perso lo smalto di un tempo. Vedremo come andrà, a partire dal Napoli.