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Il gol di Insigne è un non-luogo, come quello di Don Draper e Rachel in Mad Men

Quando Lorenzo calcia, non esiste Napoli e non esiste New York, nemmeno il ritorno degli U2: esiste solo l’effetto del pallone

Il gol di Insigne è un non-luogo, come quello di Don Draper e Rachel in Mad Men
Don Draper e Rachel

“Blessed are the liars/For the Truth can be awkward”

Più che quella relativa al loro nuovo singolo, la notizia inattesa è che gli U2 siano vivi. Attempati, forse ritrovatisi dopo anni di ricco vagabondaggio, ma pieni di gratitudine per ciò che li ha per sempre cambiati e che contribuiscono a cantare – una terra che non è un luogo, un paese che somiglia più al suono di basso e batteria che a passaporti e paesaggi. L’America. Colpisce che negli anni in cui la storia sembra condannarla sotto la polvere della vecchiaia più infame, i singoli, gli artisti, i cittadini cantino l’American Soul percependo come pressante l’ansia di non condannare in via definitiva una nazione oggi malandata che tuttavia rimane soprattutto una frontiera in movimento, un posto che forse non esiste e che nella sua non esistenza ha alimentato – e ancora alleva – la vita di generazioni. Siano dunque benedetti i bugiardi, i prestigiatori dei sentimenti, gli artigiani dell’oblio, perché la Verità può ammazzare, e non è detto che ci renda davvero liberi. Si parli di rock’n’roll, di Napoli o di qualunque luogo che chiamiamo casa.

“It’s not a place/This country is to me a thought/That offers grace”

La sesta puntata di quella seria straordinaria che è Mad Men si intitola Babylon. Tratta, in senso universale, dell’impossibilità di essere stanziali: in luoghi, tempi, sentimenti. Ci troviamo alla fine degli anni ’50 e Don Draper, il pubblicitario protagonista, si incontra in un bar di Manhattan con Rachel, una avvenente amante segreta, sua cliente. Lei è una ricca ebrea con un negozio sulla Fifth Avenue. Don lavora in quei giorni per promuovere alcuni luoghi turistici per dei clienti ebrei e interroga Rachel per capire cosa possa definirsi Israele in modo spendibile. Dice che i libri che ha letto a riguardo sono tutti stracolmi di sentimentalismi melensi dai quali non può cavarsi un centesimo.

La donna mette subito le cose in chiaro: “Ho una cosa sola da dire sugli israeliani: stanne alla larga. Non so, forse ha a che fare col fatto che prosperiamo facendo affari con la gente che ci odia”. Israele, dalle labbra suadenti di Rachel, è esattamente come la descrive lo stereotipo – la verità ne contiene l’asprezza ed i contorni netti – “Io vivo qui – conferma a Dan – Israele è più un’idea che un luogo.” Un’utopia – il luogo migliore (eu-topos) ed il luogo che non esiste (ou-topos). Scegliete pure l’etimologia che preferite. È solo un dialogo tra amanti che vivono una relazione non possibile, un non-luogo.

“I don’t have to be there. Just… it has to be. It’s more of an idea than a place”

Gli orizzonti sono ormai lontani. Gli occhi sono anestetizzati. Non esiste alcuna terra santa, non esiste Posillipo – che è solo la pausa del dolore. Sono seduto altrove e sono solo. O sono sulla Madison Avenue. Esiste solo il cinquantesimo minuto, collassa come aria che si addensa all’improvviso. Il tiro a giro di Insigne oltre Pyatov. C’è un attimo, solo un attimo, in cui la frontiera smette di avanzare e si pianta dove può essere raggiunta, in cui il topos si mostra. La palla cala, la rete si muove e tutto svanisce senza rimpianti. C’è più di un racconto e meno di pagine di letteratura, accade e riusciamo solo a percepire di essere su quella traiettoria. Non esiste Napoli e non esiste New York, esiste solo il rock’n’roll. Esiste l’effetto del pallone. Il ventiquattro esulta appena, è lui che porta in alto la bugia, quella che benediciamo per blandire la verità dell’assenza. Dieci minuti sul secondo tempo. Don Draper userebbe le sue ultime parole:

“There is no lie. The universe is indifferent “.

Sotto con il prossimo incontro.

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