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Napoli si può raccontare sobriamente e senza stereotipi, anche di quando difese la laicità di San Gennaro

“Sangue di un popolo” il documentario di Andoli, Hermann e Parlato racconta la protesta della città di Napoli contro Alfano e Sepe. Una notizia che fece il giro del mondo

Napoli si può raccontare sobriamente e senza stereotipi, anche di quando difese la laicità di San Gennaro
I fazzoletti bianchi al Duomo nella protesta in difesa della laicità di San Gennaro

“Sangue di un popolo”

Un documentario sulla protesta che Napoli mise in scena il 5 marzo 2016 contro l’attentato alla laicità della Deputazione di San Gennaro. Laicità messa fortemente in discussione da un decreto del ministero degli Interno allora guidato da Angelino Alfano. “Sangue di un popolo” è un docufilm di 39 minuti, puntuale, sobrio, descrittivo. Che non indulge mai nel folclore. Che racconta la mobilitazione di quei giorni, spiega il motivo della protesta, la storia, e racconta la reazione di Napoli a quello che fu a tutti gli effetti un sopruso. È stato proiettato oggi all’Hart per il Napoli Film Festival.

Nulla è sopra le righe

Un lavoro anglosassone firmato da Francesco Andoli, Federico Hermann e Lucilla Parlato. Registi e al tempo stesso protagonisti della protesta che organizzarono, attraverso il giornale on line diretto da Parlato (www.identitainsorgenti.com). Nulla è sopra le righe. Non a caso una delle parole che ricorre di più è compostezza. Quella dei non pochi napoletani che il 5 marzo risposero all’appello e portarono in piazza, di fronte al Duomo, il fazzoletto bianco che viene agitato per comunicare al popolo – ancor prima che lo faccia il cardinale – l’avvenuto miracolo. I fazzoletti bianchi annodati al cancello della Cappella del tesoro di San Gennaro, di Cosimo Fanzago, sono l’emblema di quella giornata. E della partecipazione della città: popolo, borghesia, intellettuali. Perché San Gennaro è trasversale. È di tutti.

Il documentario è proprio sul rapporto tra la città e il santo patrono. Rapporto che si è ulteriormente rinsaldato dopo la protesta e la conseguente vittoria politica con il ritiro del decreto. I tre registi hanno tenuto in controluce il ruolo attivo della Chiesa in questa vicenda, che non è stato da meno rispetto a quello del ministro dell’Interno. Il documentario ha smussato, pur senza nasconderlo. E tra i soggetti intervistati ci sarebbe stato bene il direttore del Museo di Capodimonte, il francese Bellenger che partecipò alla protesta.

Ne parlarono i giornali di tutto il mondo

Non a caso l’evento – è ripetuto e documentato nel film – ebbe una risonanza mondiale. Sono riportati articoli di tutto il mondo: dalla Bbc al Giappone alla stampa araba. La notizia napoletana con maggiore rilievo internazionale dopo la ahinoi celebre crisi dei rifiuti. È il racconto di un momento importante della città di Napoli. Un documentario indipendente che dovrebbe essere proposto soprattutto fuori Napoli, all’estero. Un lavoro che commuove, anche perché evidenzia la fierezza dei napoletani. Una protesta che viene percepita come silenziosa, esattamente agli antipodi della farsesca rappresentazione di cui ormai da anni è vittima la città.

Un documentario ben fatto, esplicativo, lontano anni luce dalle visioni stereotipate che ultimamente abbondano – fino a nauseare – nel racconto cinematografico e televisivo della città. Andoli, Hermann e Parlato – tre validissimi professionisti, basta andare a leggere le loro storie professionali – dimostrano che si può raccontare la città senza rispettare quel canovaccio che tanto piace a chi crede Napoli sia poco più o poco meno di un villaggio tribale. È una città con una sua identità, e che ha saputo difenderla anche contro il proprio cardinale. Un lavoro che merita un’adeguata promozione. Consentiteci una provocazione: affidatela a un milanese, andrete al Sundance.

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