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Quel bus nel documentario di Verdelli ci dice che Pino Daniele è stato di passaggio a Napoli?

Punto di riferimento dal punto di vista musicale, Verdelli comprensibilmente non sfugge alla retorica e al sentimentalismo. Con una narrativa scelta che ci ha colpiti

Quel bus nel documentario di Verdelli ci dice che Pino Daniele è stato di passaggio a Napoli?
“Il tempo resterà” il documentario di Giorgio Verdelli su Pino Daniele

Dj al Negombo, a Ischia

Ammiro Giorgio Verdelli da quando era il disc-jockey del Negombo ad Ischia. Tra i locali “aperti” dell’isola, quello che illuminava con musica e luci le notti della baia di San Montano, era tra i più belli e sicuramente il migliore per la selezione musicale. La concorrenza del Castello, del Mamunia o del Marecoco era superata dal giusto mix tra location e ritmo. Due piste circolari e un palcoscenico su cui nelle serate disco si alternavano belle e abbronzate ragazze oppure in quelle dedicate ai concerti si esibivano i mostri sacri dell’epoca. Lì potevi ascoltare, una volta che eri riuscito a non farti beccare dai buttafuori, gli habitué Califano, Bongusto e Di Capri, ma anche Tina Turner e Grace Jones. Sui piatti girava solo il vinile, eravamo sul finire degli anni Settanta, che ti restituiva nell’alta fedeltà del tempo i Bee Gees, Donna Summer, ma anche i Ramones. Un grande dj, il numero uno.

E, a giudicare dalla carriera, il giudizio sul Verdelli con le cuffie non soffre dell’influenza della retorica mixata alla nostalgia dell’età in cui riuscivo a ballare quasi tutte le notti.

Il tempo resterà

Adesso che le notti le passo quasi tutte davanti alla tv, ho visto “Il tempo resterà”, il documentario su Pino Daniele che, dopo un fugace passaggio nelle sale cinematografiche, è andato in onda ieri in prima serata su Raitre. Per il Verdelli con la macchina da presa un incontestabile successo di audience e di social, sempre un fuoriclasse, che lo conferma nell’Empireo dei conoscitori della Musica insieme con Carlo Massarini e Mario Luzzatto Fegiz. La capacità di mettere insieme le varie fasi musicali, fanno del documentario di Verdelli un punto di riferimento per chiunque voglia in futuro conoscere, ammirare e divulgare l’opera del Blues-Man napoletano.

Chiuso il capitolo Musica, vengono fuori le perplessità sul Verdelli cineasta, che più volte smarrisce il ritmo per soffermarsi sulla lacrimuccia. Intendiamoci, è praticamente impossibile non sfociare nella retorica e nel sentimentalismo se filmi un tributo ad un grande artista troppo prematuramente e troppo recentemente scomparso.

La nostalgia e il rimpianto

Insomma, la nostalgia ed il rimpianto devono aver preso la mano all’autore che si è lasciato travolgere dall’emozione nella rievocazione del Mito evitando di entrare nel rapporto complesso tra Pino Daniele con Napoli e la Napoletanità. A meno che questo rapporto non sia stato raffigurato nella visione “movimentata” da un pullman che percorre le strade della città. In forza di un’antica ammirazione, vorrei rivolgere a Verdelli una domanda che mi è rimbalzata nella testa come un refrain di una canzone di Pino: perché la città è vista di “passaggio”, da un bus di linea fuori servizio, dagli artisti che sono stati umanamente e professionalmente più vicini al Cantautore?

È forse questa la chiave di lettura non musicale di questo film su Pino Daniele?

Figlio di questa città, da cui ha tratto il sound e l’ispirazione per i suoi versi, ma da cui si è tenuto ben lontano prima per vivere e poi per morire.

Il tempo, in questa città, non è per chi resta, ma solo per chi passa Votta l’uocchie e se ne va?

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