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“Sarò con te”, il regista: «Spalletti è il protagonista. De Laurentiis non è l’antagonista, dà solo avvio alla storia»

La conferenza: «Il presidente è presente solo all’inizio. Nel mister abbiamo trovato il nostro Obi-Wan Kenobi. L’altro grande protagonista è la città»

“Sarò con te”, il regista: «Spalletti è il protagonista. De Laurentiis non è l’antagonista, dà solo avvio alla storia»
Napoli's Italian defender Giovanni Di Lorenzo (C) holds the Italian Scudetto Championship trophy as he and his teammates celebrate winning the 2023 Scudetto championship title on June 4, 2023, following the Italian Serie A football match between Napoli and Sampdoria at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Tiziana FABI / AFP)

Oggi giovedì 2 maggio, alle ore 11 nella sala stampa dello stadio Maradona, avrà luogo la conferenza di Andrea Bosello, regista del film “Sarò con te”. In serata, proiezione in anteprima esclusiva del film al cinema Metropolitan a Napoli. Alle 19.30 ci sarà un Welcome Drink, mentre la proiezione inizierà alle 20:23. Presente in conferenza stampa il regista Andrea Bosello e il co-autore del film.

La conferenza stampa del film scudetto “Sarò con te”

«Ci tengo a sottolineare non è un film embedded, non è fatto dal centro media della squadra. Si tratta di un film fatto da un gruppo di documentaristi che hanno avuto accesso e libertà assoluta. Il presidente ha avuto l’intelligenza di lasciare a noi la libertà creativa e narrativa. Tutto ciò che vediamo qui è realmente accaduto. La storia la conosciamo tutti ma non è mai stata vista in questo modo. Dal punto di vista dello spogliatoio. Ci sono momenti che vedrete per la prima volta. Soprattutto quella di Luciano Spalletti perché ci siamo accorti che lui era il protagonista di questa storia. Per il suo ruolo, ma anche per il carattere che ha. Spalletti è un contadino come ama definirsi e un grande uomo di sport. Abbiamo trovato il nostro Obi-Wan Kenobi. E l’altro grande protagonista della storia è la città. Entra nelle trame del racconto. Prima di continuare mi piacerebbe fare vedere un’inizio di questo film».

Il ruolo di De Laurentiis:

«In questa stagione gli antagonisti della squadra sono stati degli antagonisti sportivi. Non c’è stato un antagonista nel campionato, noi abbiamo trovato l’antagonista di questa storia in alcuni momenti del campionato. Il presidente è chiaramente è il motore di questa storia, è presente soltanto all’inizio di questa storia. Perché con quella frase innesca la storia. Non è un coprotagonista, dà soltanto l’incipit alla storia».

La lavorazione:

«La genesi del documentario parte da lontano. Abbiamo scritto su una serie sui sette anni di Diego a Napoli. In questi anni ci siamo ritrovati a discutere spessissimo sul potenziale scudetto. Perché non mettere le telecamere nei posti giusti se dovesse accadere. Pian piano siamo entrati nello spogliatoio attraverso l’occhio di una sola persona. Con le nostre istruzioni ha trovate i punti giusti per raccontare la storia. Persone estranee alla squadra possono smuovere sentimenti, all’inizio dobbiamo farlo con delicatezza».

Il co-autore: «Essere percepiti come alieni nello spogliatoio era molto facile. Ci siamo vestiti come loro. Abbiamo avuto delle tute come le loro che hanno creato un luogo diverso. Siamo stati aiutati molto dall’avere un operatore conosciuto da tutti».

Quanto c’è del lavoro del regista? Qualcuno subiva la telecamere e non era naturale?

«Noi veniamo da un’esperienza professionale a National Geographic. Competenza e intrattenimento. I fatti prima di tutti, ovvio che li dovevamo sintetizzare in modo da intrattenere. I caratteri emergono, i conflitti vengono fuori. Naturalezza? Per montare un’intervista buona ci vogliono tre ore di intervista. Anche i più burberi iniziano a essere se stessi. Anche i più timidi entrano in un percorso psicanalitico. Poi i calciatori hanno un loro “logos”, linguaggio. Sanno perfettamente che non si possono spostare da una mediana. Questa volta hanno provato ad esprimere le loro emozioni».

Come avete scelto proprio questa stagione?

«Io e Andrea abbiamo iniziato a scrivere questa storia e attendevamo l’esito di ogni partita. Se non avessimo vinto il campionato sarebbe stato ancora meglio, perché sarebbe stata la più grande debacle della storia. Noi siamo partiti con questa idea quando il Napoli di Spalletti ha cominciato a essere fortissimo».

Le telecamere nel momento della sconfitta:

«L’effetto che ci si può immaginare. Gli animi sono un po’ più alterati e bisogna essere più delicati. Avendo poi una sola telecamere, alla fine sono quelli i momenti più interessanti. Nella delusione di una sconfitta, la telecamere è marginale. Non c’è stato un grande problema se non entrare. All’inizio e alla fine, nel post partita, è bastata la delicatezza».

Città in che modo protagonista?

«La città ad un certo punto diventa protagonista perché il carattere di questa città. Io sono arrivato a Napoli quando il Napoli vinceva il suo primo scudetto con Diego. Io rimango sconvolto dalla gioia popolare. Per me bambino che venivo dal Friuli era incredibile. Ho deciso di seguire questa traccia,  perché sapevo che era qualcosa di straordinario dopo 33 anni. Un’intera generazione vede per la prima volta questi festeggiamenti. Quasi un’antropologia della gioia, racconta qualcosa che non può accadere in altre città. Io non credevo che esistesse un’anima collettiva così forte. In questo preciso momento emerge questa cosa».

La prima scena girata? Quale calciatore ha i tempi dell’attore?

«Ce ne sono tanti che hanno i tempi del cinema. Elmas, Juan Jesus, Kvara nella sua lingua, Osimhen tantissimo. Forse il personaggio più drammatico nel senso che ha i tempo, mi ricorda un Denzel Washington. Poi i primi momenti sono stati prima della pausa. Poi loro sono partiti per la Turchia. Il momento più brutto è stato il Milan per me. Quei quattro gol pesavano anche sulle nostre spalle. Per punizione siamo stati sbattuti in tribuna stampa con la Juventus. Tutti i momenti sono stati belli, divertenti. Io devo ringraziare il Milan e la Salernitana, sennò il film non ci sarebbe».

«Anche Anguissa fra i calciatori. E Simeone».

Il contributo dato dai personaggi non prettamente sportivi?

«È un documentario al 101%. I protagonisti extra sportivi servono da coro per contestualizzare l’evento. Abbiamo cercato di scegliere tra i tifosi più conosciuti e persone che avevano la capacità di raccontare la napoletanità. Ci sono grandi attori napoletani come Toni Servillo, Luisa Ranieri. Il film è il film, ma il lavoro è iniziato da una serie che vedrà la luce dopo il film. Quattro episodi, mentre il film racconta dal giorno in cui parte la sfida per lo scudetto a quando i ragazzi alzano la coppa. La serie racconta le vite sportive dei calciatori, c’è il contrato tra le varie anime della squadra e racconta quello che nel film non si poteva vedere per una questione temporale come l’addio di Spalletti. Dentro la serie c’è Ruggero Cappucci, grande intellettuale che ci racconta cos’è la napoletanità».

Quante persone hanno lavorato e i costi della produzione:

«La troupe, contando tutti quelli che hanno lavorato, circa una ottantina di persona. Ci sono dei costi standard per i documentari e questo ha il costo standard più elevato del cinema. Sono quegli standard che fissano anche le piattaforme. Circa 6 mila /10 mila euro al minuto. In questo documentario le musiche sono di Teho Teardo».

«Noi siamo partiti scrivendo una serie da 4 episodi. Il presidente poi ad un certo punto ci ha detto che gli piaceva e di fare il film. Questa cosa è molta importante. Questo è un documentario, dura un’ora e quaranta. Questo resterà nella storia della città. La polemica è sterile sul film. Noi per anni lo abbiamo visto dentro uno schermo, quando l’abbiamo visto al cinema per la prima volta ci sono venuti i brividi. Il film dona emozioni diverse rispetto allo stadio. Andare al cinema è vivere una nuova esperienza collettiva. Poi anche vederlo col pezzotto (ride)».

Un pensiero ai napoletani lontani da Napoli:

«Noi raccontiamo un’intera stagione di calcio. In quell’economia noi abbiamo dedicato quasi tutto il finale a queste persone».

Un aspetto difficile e uno bellissimo di lavorare con gli sportivi?

Il co-autore: «Il momento più difficile è stato farli uscire dal seminato, soprattutto durante le interviste. Poi durante le partite erano naturali al massimo. Il momento più bello è entrare nello spogliatoio, ascoltare Spalletti dentro lo spogliatoio. La scena più bella a Capodichino con le persone che aspettavano la squadra e poi anche Udine».

Il regista: «Il momento più bello una inquadratura del mister al Maradona. Mi diverta molto che tra le migliaia di telecamere ci fossi soltanto io con lui. Il momento più divertente è stato quando il presidente ha reso noto che avremmo realizzato un film. Ero in Inghilterra in quel momento. L’Ansa diceva: “Ci lavorano i migliori tra America e Francia”».

Qualcosa che hanno chiesto di non mettere, anche di divertente?

«Ci sono tutti i momenti “questa non la mettere”. Quando alzava la mano lo faceva perché così aveva il controllo della situazione. Ci hanno cacciato svariate volte. Quando ho conosciuto James Cameron, mi accorgo che non abbiamo l’entrata di scena. Tutti quanto tremavano. Bisogna essere tignosi, per questo mi cacciavano».

Ancora una domanda su Spalletti:

«Io non ho conosciuto gli altri allenatori del Napoli. Nicola mi ha sempre detto che se ci fosse stato Sarri non saremmo neanche arrivati alla porta di Castel Volturno. Spalletti è un protagonista tragico. La prima volta che mi ha visto mi ha detto “Te tu non l’hai mai lavorata la terra”. Lui mi ha dato l’ispirazione per chiudere il film».

Il co-autore Andrea: «Io con Spalletti di calcio non c’ho mai parlato quasi. Però diciamo che la provenienza ha aiutato. Quelli come lui un po’ li conosco, lui è legato alla sua terra. Soprattutto a livello dialettico e del modo in cui ti si rapporta, perché non è un modo normale. Non so come sarebbe stato con altri allenatori, però vedendo i grandi allenatori esteri, Spalletti è diverso. Dice le cose sue e ti stupisce sempre».

Le difficoltà che hanno spinto a pensare di mollare?

«Mai pensato di gettare la spugna. Nelle difficoltà si trova lo spunto creativo. Questa cosa era troppo importante, resterà per i prossimi trent’anni. Racconta uno dei momenti più importante di questa città, sportivamente parlando».

Tra le tante cose scartate c’è qualcosa che non si potevano mettere:

«Le bestemmie. Pochissime ma ci sono state. Tanti momenti divertenti che non trovano spazio nel tessuto narrativo. Tutti gli scherzi di Spalletti in giro per gli spogliatoio, i giochi che fanno entrando e uscendo. Tutti quei momenti lì ci sono ma in minima parte. La narrazione prende il sopravvento, deve esserci ritmo e certe cose le lasci a malincuore. La serie non l’abbiamo ancora finita».

«Certamente tutti gli uomini vengono influenzati da una presenza di un’occhio che li osserva. Sicuramente loro si sono sentiti investiti di una responsabilità in più. Tutta farina del loro sacco la vittoria dello scudetto».

Il segreto dello scudetto?

«Lo scudetto è chiaramente un fattore che moltiplica per mille tutti i caratteri di chi è in campo e anche di chi non è in campo. Ci sono degli equilibri che sono delicatissimi e sono impercettibile quasi. Questo gruppo di straordinari ragazzi sono delle brave persone. Tutte le volte che hanno giocato, lo hanno fatto portandosi dietro questa cosa qui. Perché nel calcio ci sono i Cassano, i Balotelli. Queste brave persone si sono portate sulle spalle questa responsabilità. Il merito sia indubbiamente dell’area tecnica. Tutti quanti hanno costruito questa armatura che ha portato la squadra allo scudetto. Spalletti come Sean Connery».

«Il film esce nelle sale il 4 di maggio. In anteprima domani in tutte le sale che hanno aderito all’iniziativa».

 

 

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