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La storia del Chievo (e della rivalità con l’Hellas) nel gialloblu delle maglie

Dal Bottagisio al Bentegodi, il Chievo è l’unico club nella storia in grado di percorrere, fino in cima, la piramide calcistica italiana.

La storia del Chievo (e della rivalità con l’Hellas) nel gialloblu delle maglie

«Quando i mussi i volarà faremo ‘l derby in serie A, ma sarà sempre cossì: Verona in A e Chievo in B». Un bel giorno, i “mussi” si misero a volare per davvero, volteggiando su “Ceo”, il rione periferico di Verona che sorge sul lato destro dell’Adige. Dopo 72 anni di ostentata superiorità sui mussi (asini, in dialetto veneto), quelli dell’Hellas persero per sempre la facoltà di irridere i cugini campagnoli. Il Chievo, unica squadra italiana ad aver scalato l’intera piramide calcistica nazionale, era infatti incredibilmente approdato in serie A.

La vicenda calcistica di questo club di quartiere (un piccolo borgo di 3mila anime con la farmacia comunale, il tabaccaio, la chiesa, la premiata ditta di rimorchi Cardi), cominciò nel 1929 per iniziativa di un gruppo di appassionati. Questi si ingegnarono per dar vita alla squadra del rione affiliandola all’Opera Nazionale Dopolavoro, l’associazione istituita dal regime fascista quattro anni prima. Scelsero una maglia inquartata bianca e blu, colori presumibilmente mutuati da quelli ufficiali dell’Ond. La truppa non si iscrisse alla Figc preferendo giocare alcune partite amichevoli nei dintorni di Verona.

Nel 1931 in occasione della prima partita ufficiale il blu delle casacche divenne celeste al punto che i clivensi divennero presto “i biancocelesti”. Rifondato nel 1948 come Associazione Calcio Chievo, il club indossò delle maglie a strisce rossoblù verticali perché le trovò d’occasione al mercatino. Il giallo e il blu, colori di Verona, arrivarono all’inizio della stagione 1957/58 insieme al trasferimento al Campo parrocchiale “Carlantonio Bottagisio”, situato un po’ più avanti di una stretta strada sulla cime della diga, dove per diga si intendeva uno sbarramento dell’Adige con una serie di chiuse per la regolazione della portata. Al “Bottagisio” il Chievo giocherà ininterrottamente fino al 1986, quando dopo aver ottenuto la storica promozione in Serie C2 sotto la guida di Luigi Campedelli (il signor Paluani), fece il suo ingresso al “Marcatonio Bentegodi”, lo stadio dell’Hellas Verona. A questo punto i mussi cominciarono a contendere ai cugini più famosi lo stadio, i colori sociali e il simbolo.

Infatti nel 1998 il “Ceo” adottò lo scudo svizzero giallo con bordo blu, riportante al centro l’immagine equestre di Cangrande I della Scala, signore di Verona, sormontata dalla denominazione societaria scritta in caratteri fraktur, appartenenti alla famiglia dei caratteri gotici. Non mancarono le polemiche dei tifosi del Verona che si ritenevano depositari di quell’emblema associato all’Hellas dagli anni ’70. Il patron Campedelli replicò affermando che l’effigie rappresentava tutta Verona e non poteva essere rivendicato in esclusiva. Ed ebbe la meglio. Dal “Carlantonio” al “Marcatonio” il passo dei mussi volanti non è stato breve, ma senza dubbio inarrestabile.

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