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L’altra Dimaro va in auto d’epoca con i ragazzi disabili

L’altra Dimaro va in auto d’epoca con i ragazzi disabili

Di domenica mattina, un’altra Dimaro si dà appuntamento alle nove e mezzo nella piazza che per tre settimane si trasforma nel quartiere generale dei tifosi e dei giornalisti che seguono il Napoli. È la Dimaro che colleziona auto d’epoca e aiuta persone disagiate che grazie ai cooperanti della Gsh – gruppo sensibilizzazione handicap – riceve assistenza a casa ma si rende anche utile con lavori manuali, quadri con colori acrilici, e in alcuni casi a fine mese riceve persino una busta paga.

Una Cinquecento Abarth rossa, una Millecento crema del 1958, Lancia Beta Montecarlo, Duetti dell’Alfa, Mini, una vecchia Fiat 1.600 col motore Osca dietro cui si nasconde la storia della famiglia Maserati i cui fratelli litigarono e posero le basi per il successivo declino. «Era la macchina dei cumenda – ti spiegano – i ricconi, quelli veri, giravano con l’Aurelia B24, quella del Sorpasso con Vittorio Gassman».

È una giornata da Val di Noce, ossia Val di Non e Val di Sole. La partenza è fissata a Cles, che per chi conosce il ciclismo non è un paese qualsiasi. Non è Palù di Giovo – che ha dato i natali a Francesco Moser – ma a Cles è nato e cresciuto Maurizio Fondriest che nel 1988 vinse il Mondiale su strada approfittando di una caduta negli ultimi metri di Criquelion e Bauer, suoi compagni di fuga. Anche qui, scopriamo, è terra d’invidia. Ce lo racconta Rolando Paternoster che ci offre ospitalità nel suo fantastico Maggiolino giallo che ha conservato l’odore delle macchine dei nostri papà quand’eravamo piccolini. «Per anni gli hanno detto: “Ehi, Fondriest, vinci il Mondiali perché gli altri van tera”. E lui ha sempre replicato: “Eh, ma ci devi stare lì”.

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Paternoster ha fatto il fornaio per quarant’anni a Malè, un paese vicino a Dimaro. Poi è andato in pensione. Ha chiuso. Ha venduto al suo concorrente: «Era l’unica cosa da fare. Non so se questo mestiere riuscirà a sopravvivere. Finiremo col pane surgelato. In quarant’anni avrò preso quindici giorni di ferie. È vita sacrificata, nessuno la vuole fare più». Uscendo da Dimaro, scopriamo che il maxitelone con Hamsik, Higuain, Insigne, Reina, insomma i protagonisti del Napoli, serve anche a coprire un manufatto abusivo.

Il Trentino non è lontano da noi. Le dinamiche non sono poi così distanti. Anche le recriminazioni. Qui, nella Val di Noce, c’è un lago, il lago di Tovel, che è stato a lungo un caso naturale: era rosso a causa di un’alga. Un fenomeno che negli anni Sessanta si è interrotto. Per motivi ignoti. Sarebbe potuto tornare in auge se solo la Provincia di Trento non avesse risposto no alla richiesta di un contributo per la fiction “Don Camillo”. Bolzano ha invece ha detto sì. E oggi il lago di Braies è un luogo di attrazione turistica: la fiction è girata lì.

Gente delle valli, lavoratori, con storie appassionanti, poco esperti di calcio. Può capitare di sentirsi domandare: «Ma il presidente del Napoli è quel De Laurentiis del cinema?». O, ancora: «Com’è che lo contestano, che vogliono di più? Nel calcio si parla di soldi come se fossero foglie di mele». La sfilata di auto d’epoca attraversa la Valle e raggiunge l’agriturismo Maso Forcola. È l’immersione in un altro mondo. Ragazzi sulle sedie a rotelle, con handicap gravissimi. C’è Mario, ad esempio, sordomuto, che ha perso entrambi i genitori. Senza la Gsh non potrebbe vivere. Si accovaccia accanto alla cassa che diffonde la musica della pianola per poterne avvertire le vibrazioni. Renato Mochen, di Dimaro, ha la sua Cinquecento rossa cui proprio oggi è saltata la frizione. «Ho guidato a orecchio», dice con un certo orgoglio. Sua figlia, 33 anni, è sorda.

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«Per noi è una domenica diversa – racconta Italo Bertolini, ex maestro di sci a Madonna di Campiglio – ma per loro è una giornata che non dimenticheranno più. Ne parleranno per mesi. L’altra volta regalai il cappellino dell’Alfa Romeo a un ragazzone alto un metro e novanta, ci ha dormito per due mesi. Non ci rendiamo conto di quanto questi ragazzi abbiano bisogno di vivere una vita normale, di non sentirsi ghettizzati». Flavia Ianes, del Gsh, li guarda premurosa ma senza mai farli sentire diversi. Sorride con loro, ci spiega che la cooperativa offre servizi diversi e ha più sedi nella Valle, da Dimaro a Terzolas, a Cles.

Solidarietà e passione per i motori. Bruno ha 69 anni, è di Cles, è qui con la moglie. Ma in macchine separate. Lui con l’Alfa Romeo GT, lei con la Lancia Beta Montecarlo. Il suo soprannome è Olian, perché suo padre e suo nonno lavoravano l’olio per fare il vischio. Oggi, che è in pensione, riempie la sua vita con la passione per le auto. Compra auto vecchie e le ripara, talvolta le vende. E ci immergiamo in un universo sconosciuto, quello delle auto d’epoca.

E scopriamo che senza il Sud, questo mercato non esisterebbe. «Ce l’avete solo voi queste macchine qua, da noi sono tutte nuove. Poi da noi le automobili si rovinano, qui d’inverno c’è tanto sale sulle strade per ridurre i danni da ghiaccio e il sale corrode la carrozzeria». Scopriamo che il re delle auto d’epoca è in Germania ed è napoletano. È un’autorità nel ramo. «Il catalogo te lo dà gratis, tanto il resto glielo paghi caro».

Gli si illuminano gli occhi quando parla dei motori delle Alfa. Ricorda quando la scoprì per la prima volta. Lavorava a Roma e il suo datore di lavoro gli diede la sua GT Junior per andare a fare un lavoro a Pescara. Non l’ha più abbandonata. «È bellissimo lavorare su quei motori, non ci sono centraline, è semplice». Lui lavora, la moglie collauda «gli odori e i rumori».

C’è chi, come Mauro Forno, ha la Trabant. E ti spiega che la vera Trabant è quella a due tempi, con la miscela. «Quando cadde il muro, te le tiravano dietro. Poi cominciarono a produrre quelle a quattro tempi ma non hanno valore di mercato».

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Si va a tavola dopo un primo giro di bianco. Il giornalista napoletano è ovviamente una stranezza. Qualcuno non resiste alla battutina ma è naturale e soprattutto non sa che il suo interlocutore veniva definito “abissino” nei primi anni Novanta nella tipografia dell’Alto Adige. È l’immersione in un’altra vita. Persone con storie incredibili, come quella di Renato Tevini, imprenditore, che ti mostra la foto con l’immagine del Pci e la scritta “tu non puoi entrare” con sotto il sì ai cani. Cambia tono quando si parla di guerra. Ha conosciuto suo padre all’età di sei anni. Tornò dalla Russia che tutti lo davano per morto. Venne catturato dai tedeschi in Sicilia e spedito in Russia a combattere per loro. «Era l’unica alternativa che ti offrivano, combattere per loro al fronte russo, altrimenti ti fucilavano». La storia è degna di un romanzo. Il padre si salvò perché sua moglie, la madre di Tevini, era russa. Nella Grande Guerra, la nonna, insieme ad altre due ragazze, nascose tre soldati russi per non farli catturare dagli austriaci. Uno dei tre rimase e i due misero su famiglia. «Ma non si sposarono mai», precisa Tevini. Coppia di fatto agli inizi del Novecento.

«Ma quando tornò, era incattivito. Chi vede morire tante persone, cambia atteggiamento nei confronti della vita».

E ricorda quando suo padre seppe di un suo furto; lui, bambino, aveva rubato un’arancia. Il padre aprì la stufa e gli mise le mani dentro. Per mesi, è rimasto a letto ricoperto da macchie rosse per la paura. La sua vita è cambiata in un ingorgo. Trovò il lavoro di autista e da allora non si è fermato più. Oggi è un imprenditore soddisfatto e colleziona auto d’epoca.

La domenica è quasi finita. Ancora un ultimo ballo. Sono quasi le quattro del pomeriggio. Si torna a casa.

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