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L’attualità di Pacileo un Balzac che andava allo stadio

L’attualità di Pacileo un Balzac che andava allo stadio

In morte di Peppone Pacileo qui lo si celebra alla maniera napolista, perché molto si è detto dell’uomo e del carattere. Il papillon, la pipa, l’amore per le note sinfoniche, le lingue foreste, direbbe lui, che parlava. Ma Pacileo fu un colosso della scrittura e dello stile, come Napoli calcistica mai ne ebbe, un Balzac che andava allo stadio e pennellava con un registro universale e napolitano, sì con la “i”, per cui il Sommo Diego (quanto si è parlato di quel tre e mezzo) era la trasfigurazione tipografica dell’invocazione popolare: Tiechite. Ecco perché Pacileo faceva innamorare e le sue cronache rendono immortale il suo talento. Nel terzo millennio del web, dove le notizie invecchiano dopo un minuto, ancora oggi procurerebbe gusto e piacere aspettare la carta stampata per leggere il suo racconto inarrivabile. Curioso per un vecchietto del Novecento che se n’è andato a 83 anni senza mai aprire un compiuterro. E lo stile originava da una preparazione (guai a dire cultura, perché cultura e analisi sociale, cioè sociologia, erano termini che lo terrorizzavano) immensa, onnivora. In funebri circostanze come codesta, è d’uopo parlare di se stessi approfittando del morto. Non vantando la stessa generazione professionale di Pacileo, i ricordi sono limitati ma uno di essi racchiude una domanda che tormenta ancora oggi, a distanza di trent’anni in quel di Massa Lubrense. “Maestro perché, con le vostre qualità, scrivete solamente di calcio?”. Lui rispose in modo eduardiano, facendo una sottrazione essenziale a tutte le risposte possibili: “E di cosa dovrei scrivere? Di politica? Di cronaca?”. 

Eppure queste sue qualità fecero comprendere come pochi che cos’è il pallone a Napoli. Non oppio dei popoli. Non riscatto sociale. Ma “necessità”. Sì, scrisse proprio così in un memorabile brano alla sua storia del Napoli, anno 1986. In modo magistrale, proprio perché Maestro: “Senza spingermi a condividere la mia stessa opinione mi limiterò ad affermare che il calcio da queste parti è diventata una necessità”. E perché una necessità, di grazia? Perché “a Napoli il concetto di azione corale non esiste” e quindi a unificare la città divisa in nobiltà, borghesia e popolino “qual è l’impresa più adatta a gratificare il maggior numero di persone alle condizioni e sui presupposti testé descritti? L’impresa sportiva. Il lavoro in sé e per sé è affidato a un gruppo di giovanotti in mutande, non importa dove sian nati e cresciuti”. 

La filosofia di Pacileo nostro è un crescendo wagneriano perché neanche il tempo di svoltare questo ardito tornante sul calcio a Partenope, ed ecco che si scovano le radici del male papponista. Proprio perché “necessità”, “l’unica politica consentita nel gestire il giocattolo è quella della grandeur”. Qui il brano è più lungo ma vale la pena andare sino in fondo perché se sostituite De Laurentiis a Ferlaino scoprirete anche voi l’attualità di questo pensiero: “I due Lauro furono popolarissimi perché non badarono a spese – il padre con navigata astuzia, cioè senza mai rimetterci del proprio, specie se si quantifica la contropartita in vantaggi politici e fruttuose adiacenze; il figlio rimettendoci sul serio, da vecchio playboy qual era, al punto di perdere la residua stima paterna fino all’interdizione. Roberto Fiore suscitò entusiasmi masaniellici perché portò a Napoli Sivori e Altafini. Tutt’altro che popolare…, ma che dico? Tutt’altro che comprensibile è dunque risultato il Ferlaino finché, per lustri, ha preteso anteporre la parità del bilancio a tutto il resto. ‘Vuole fare il presidente? Vuole (attenzione al verbo che segue: ridonda di spagnolesca napoletanità!) comandare? E allora deve spendere!’ Pertanto il Corrado, quel ‘fetente mariuolo’, è diventato un grando presitento solo quando s’è lanciato nel rischio dell’enormi spese”. Quanta attualità napolista. 

Molto ci sarebbe ancora da vergare sui punti successivi di questa speculazione. L’attesa fideistica dello scudetto e il fatto che “per ottener successo di pubblico, a Napoli l’esser bravi non basta. Occorre saper entrare in sintonia con la mentalità di cosiffatto pubblico, e non accade solo nello stadio del calcio”. E’ la ragione per cui Juliano, che “pareva ‘nu milanese, Napoli si trovò costretta a rispettarlo: ma non lo amò”. Si potrebbe adattare questo vestito anche a Rafa ma nell’ora del commiato non è giusto polemizzare. Restano poche righe e colpisce infine il modo di andarsene del Maestro, senza funzione religiosa e  con le ceneri sparse nel golfo ‘e Napule. E visto che di scrittore abbiamo parlato, quest’assenza del sacro congedo riporta alla memoria alcuni versi del Grande Cieco Argentino, Borges. Lo citiamo perché anche Pacileo, ormai, viveva nel buio. A loro due, il Paradiso avrebbe fatto venire le vertigini. Meglio una biblioteca eterna.

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