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Aldo Masullo: «La guerra delle parole in qualche modo appaga il desiderio sempre più forte di essere uno contro l’altro»

Aldo Masullo: «La guerra delle parole in qualche modo appaga il desiderio sempre più forte di essere uno contro l’altro»

«Non m’intendo di calcio, per favore tenetemi fuori da queste dispute». Il professore Aldo Masullo, filosofo illuminato e scrittore eclettico, è quasi terrorizzato dalla richiesta di essere chiamato a giudice della rissa verbosa tra Mancini e Sarri. Riusciamo a tranquillizzarlo chiarendogli che non intendiamo parlare di calci, non solo metaforici, ma dello scontro tra due personaggi, uno ruvido e di estrazione operaia, l’altro ricercato nei modi e nell’abbigliamento ma abile soprattutto a trarre sempre il massimo profitto dalle vicende che lo riguardano. Come i suoi precedenti evidenziano senza temi di smentite. Uno scontro tra uomini di diversissima estrazione che avviene, per giunta, al termine di una contesa molto aspra nei modi ma soporifera nel gioco, in un’arena che si trasforma in un Colosseo moderno in cui uno dei contendenti tenta di far sbranare l’avversario che, in un impeto deprecabilissimo di ira, lo ha chiamato frocio e fichetto.

Professore Masullo, di questo possiamo parlare con lei?

«Sicuramente sì perché è un esempio della degenerazione del nostro costume che per comodità chiamiamo mancanza di rispetto per le altre persone ma è all’origine di altre e più gravi distorsioni. A quel che mi ha raccontato, entrambi i contendenti hanno sbagliato ma questo in fin dei conti ha poca importanza. Quello che rattrista, al contrario, è constatare che questo linguaggio da trivio che in passato veniva praticato esclusivamente nelle caserme e nei postriboli ora ha trovato diritto di cittadinanza nelle istituzioni, nelle occasioni pubbliche e, come è appena successo, anche negli stadi. Se volessimo utilizzare un pizzico di ironia potremmo malinconicamente concludere che l’esplosione di contrasti di questo livello dà clamorosamente torto al legislatore che ha depenalizzato il reato di ingiuria trasformandolo in illecito civile, ma l’argomento è troppo serio per scherzarci su».

Il linguaggio che diventa un’arma. All’apparenza il problema sembra avere solo aspetti culturali ma lei ci sta autorevolmente dicendo che la spia che si è accesa anche per effetto di una vicenda in sé modesta, pur se carica di aspetti sconcertante segnala invece un pericolo reale. È così?

«Beh, sì. Il linguaggio colorito e sgangherato è diventato un’arma impropria e la guerra delle parole in qualche modo appaga il desiderio sempre più forte di essere uno contro l’altro».

Parlandone da Napoli, però, dobbiamo fare i conti con un altro problema: in questa rappresentazione Napoli è un bersaglio facile da colpire quasi fosse coperto da una sorta di immunità che non è sancita ma è come se lo fosse perché viene punita con un buffetto. E mai con una sanzione forte al punto da scoraggiare i trasgressori.

«Qui viene fuori un altro vizietto italico. La ragionevolezza civile è una virtù sempre più difficile da trovare. Questo difetto è particolarmente evidente a Napoli che è una realtà storica e urbana di enorme valore penalizzata, però, dal suo comportamento e dai troppi talloni di Achille che si porta dietro. Per i suoi limiti, insomma, e per gli aspetti sventurati nei quali si dibatte, la città finisce per offrirsi a chi vuole offenderla come un bersaglio facile da colpire. A Napoli il positivo e il negativo non vengono mai rappresentati per quello che sono, ma vengono teatralizzati e caricati nelle forme più vistose. Lo abbiamo verificato anche nel modo con cui la città ha reagito al dolore per la morte di Pino Daniele».

Lo stadio, però, entra solo ora in questa fenomenologia. Ha ospitato episodi volgari di ogni specie, mai una disputa con connotati così distanti e alti. Anche se espresse nelle forme più deprecabili.

«Non è una sorpresa, lo stadio – che non ho mai frequentato – mi appare come il luogo ideale per dare sfogo a questi modi rozzi e incivili di stare insieme. E per una volta Napoli non fa eccezione, è simile a Londra, a Milano e a Torino».

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