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Sarri insegna che il campione è chi sa rialzarsi, non chi viene sconfitto

Sarri insegna che il campione è chi sa rialzarsi, non chi viene sconfitto

La storia di un allenatore può essere, più che quella di un calciatore, di conforto e di esempio anche per uno scrittore squattrinato o per un cineasta agli esordi. E Walter Veltroni ha il merito – dopo aver scritto alcuni brutti libri e aver girato alcuni brutti film – di averlo fatto uscire allo scoperto sulle colonne del Corriere dello Sport, tornando all’attività in cui è maestro e a cui dovrebbe unicamente dedicarsi: il giornalismo.

Sarri parte da lontano, allenando squadre di categoria inferiore e non avendo mai giocato da vero calciatore professionista. Sarri porta una cosa antica quanto il mondo ma sconosciuta in Italia e a Napoli: il lavoro spogliato dal glamour, dalle sudditanze, dalle parrocchie e dalle amicizie. E la testimonianza che, alla fine, paghi davvero. Intendiamoci: il lavoro senza talento non serve a nulla o comunque non consente di raggiungere traguardi importanti. Ma un Napoli che si è ritrovato dopo anni di partite perse per distrazioni, difese bucate, giocatori tristi e lotte assurde (o simulate) tra società e tifosi, è la dimostrazione che un grande leader è innanzitutto un grande analista. Certo, Reina è tornato, sono arrivati Allan e Hysaj, ma l’attacco è sostanzialmente lo stesso dell’anno scorso, così come la difesa. E i giocatori che rendono di più sono proprio quelli che con Benitez apparivano fiacchi e demotivati. Abbiamo sempre difeso Benitez: ma abbiamo detto anche – contro quanti ci tacciavano di avventurismo, quasi fossimo degli extraparlamentari calcistici – che la venuta dell’allenatore dell’Empoli, così sacchiano e zemaniano insieme, così operaio nel portamento e nella mentalità, non potesse che fare bene al Napoli. E abbiamo alla fine avuto ragione. Intendiamoci: che il Napoli vinca campionato o arrivi fuori perfino dalla zona Europa League, possiamo dire, forse per la prima volta da quando siamo tifosi, che oggi non ci interessa granché. Perché il palleggio di Hamsik e Allan, la velocità nei recuperi di Koulibaly, le magie a un tocco di Higuain e Insigne sono uno splendore a vedersi e rendono le vittorie più belle e i pareggi meno amari. Il calcio con il Napoli di Sarri sembra tornato a essere puro gesto atletico, vero motivo che dovrebbe portare un tifoso ad appassionarsi di sport.

Ma la cosa che più conta è la cultura del lavoro, come dicevamo. Sarri ha saputo mantenere la mente lucida sia nei momenti di incerto avvio che in quelli di estrema esaltazione. E come fai a tenere la testa a posto quando l’icona vivente del calcio Napoli e del calcio mondiale rimpiange il tuo predecessore? A Maradona si perdona tutto, è certo. Ma al suo scivolone sulla scelta sbagliata effettuata da De Laurentiis, l’allenatore rispose: rispetto troppo Diego per ribattere alcunché, spero solo di poterlo conoscere un giorno. E poi, via a nove risultati utili consecutivi in campionato, per non parlare dell’Europa League. Ma perfino ora Sarri non si monta la testa e continua a vivere il suo calcio come una passione ossessiva, studiando partite, analizzando video, producendo tattica per almeno quindici ore al giorno.

Ci vuole coraggio e temperamento per arrivare in alto, per farcela. Sarri insegna che il campione è chi sa rialzarsi, non chi viene sconfitto. Perché la sconfitta può essere di tutti, come la stoffa. Ma per vincere la stoffa non basta, occorre il carattere. Parola di Bert Gordon. La nemesi di Paul Newman nell’indimenticabile Lo spaccone.
Angelo Petrella

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