Per chi ama il tennis, o per chi lo ha amato, la Coppa Davis è un’emozione forte. L’emozione con la e maiuscola. Incredibile a dirsi per uno sport così individuale, eppure quel torneo a squadre è sempre riuscito a suscitare brividi e sensazioni unici.
Devo ammettere che mi emoziona l’idea dello stadio costruito in via Caracciolo, col mare che si vede dalle gradinate. È una bella idea, bellissima. Al di là delle polemiche sull’isola pedonale e sulle piste ciclabili (a proposito, domenica ho visto quella di viale Augusto: una follia).
Oggi il Mattino dedica una pagina a un’intervista ad Adriano Panatta. Alla vigilia di Italia-Cile, remake della sfida che ci fece vincere nell’ormai mesozoico 1976 l’unica insalatiera della nostra storia, non poteva che parlare lui, il condottiero di quella formazione. Anni dopo protagonista di un documentario di Mimmo Calopresti incentrato proprio sull’intuizione di scendere in campo nel doppio, in coppia con Paolo Bertolucci, con la maglietta rossa in segno di dissenso nei confronti del regime cileno di Pinochet. All’epoca tante furono le polemiche che accompagnarono la trasferta degli azzurri. In tanti, soprattutto a sinistra, soprattutto il Pci, non avrebbero voluto quella trasferta perché avrebbe significato in qualche modo avallare la dittatura del generale. Finì in altro modo, gli azzurri capitanati da Pietrangeli in Cile ci andarono e vinsero.
Nell’intervista di oggi, Panatta ricorda un’esibizione giocata con Bjorn Borg nel 1981 al fu Palazzetto dello sport. Me la ricordo benissimo quella giornata. Era un sabato. Cominciò la mattina sui campi del Tennis club Napoli, dove Borg venne a palleggiare col maestro Gigino Chiaiese. Era pieno il circolo. In realtà lo svedese era lì per un servizio pubblicitario, palleggiava e poi scendeva nello spogliatoio per cambiarsi il completino. Firmato Fila. Era buffo vedere quanto il maestro sudasse nel reggere il palleggio – sia pure amichevole – del vichingo. Al termine della piccola esibizione, ci mettemmo in fila per un autografo che via via si è stinto sul fodero bianco della mia racchetta.
La sera, Borg fu sconfitto da Panatta in un Palazzetto gremito. Era un’esibizione, ovviamente. Ma per Napoli era tantissimo. Difficile far comprendere cosa fosse il tennis a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Era seguitissimo, ogni tennista era soprattuto un personaggio e in Italia l’avvento di Panatta aveva trasformato lo sport sfotticchiato da Gaber da elitario a popolare. È il grande merito che Adriano ancora oggi rivendica.
Napoli visse una breve parentesi tennistica di medio livello. Oltre a un’esibizione tra Panatta e Mc Enroe, ricordo un’esibizione a quattro in cui Panatta sconfisse l’indiano Armitraji per poi perdere se non ricordo male da Gene Mayer, l’americano che giocava con un padellone e tirava sia dritto che rovescio a due mani. Il top fu raggiunto l’anno in cui la Wct decise di organizzare a Napoli un torneo. Venne a giocarci anche un giovane Ivan Lendl che si prese a pallate, vincendo (almeno credo), contro il sudafricano Kriek.
Poi, parallelamente alla fine del periodo d’oro del tennis, si consumò anche il rapporto con Napoli. Un sussulto qualche anno fa, quando Torre del Greco ospitò l’incontro di Davis contro la Spagna di Nadal. Sì, certo, abbiamo il torneo di via Caracciolo ma il tennis, quello vero, è un’altra cosa. Sarebbe bello se Napoli rientrasse nel circuito che conta. Anche se il tennis di oggi non mi emoziona più.
Massimiliano Gallo