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Il doppio sta morendo, il tennis prova a rianimarlo con partite velocissime e qualche dollaro in più (Telegraph)

Servirebbero i grandi singolaristi, ma quelli lo usano per fare il riscaldamento e poi si ritirano

Il doppio sta morendo, il tennis prova a rianimarlo con partite velocissime e qualche dollaro in più (Telegraph)
Italy's Jannik Sinner (R) and Lorenzo Sonego celebrate beating Netherlands' Tallon Griekspoor and Wesley Koolhof during the second men's doubles quarter-final tennis match between Italy and Netherlands of the Davis Cup tennis tournament at the Martin Carpena sportshall, in Malaga on November 23, 2023. (Photo by LLUIS GENE / AFP)

Il doppio, nel tennis, sta morendo. “In generale – scrive il Telegraph – sembra in stasi dal 2020. Quello è stato l’anno in cui abbiamo salutato i fratelli Bryan , gli americani più riconoscibili del Tour, nonché preziose figure di riferimento per il formato a due. Il mese scorso, l’ex numero uno del mondo Jamie Murray ha parlato di una crisi strisciante”.

I rappresentanti dell’Atp insistono che non è vero, non hanno rinunciato al doppio: tutt’altro. Ross Hutchins – che è il boss del doppio ed ex partner di Murray in Coppa Davis – ha lavorato su una revisione dall’inizio della scorsa stagione. “Vogliamo elevarlo come prodotto per i fan. Rappresenta circa il 20% del compenso dei giocatori nel nostro sport e vogliamo generare più valore apportando alcuni cambiamenti chiave”.

Il Telegraph insiste sui problemi del doppio. Lo giocano in moltissimi a livello amatoriale, ma tra i professionisti è una nicchia. “C’è una strana qualità nel marketing del doppio: non è né una gara per trovare il miglior giocatore del mondo, né uno sport di squadra tribale (tranne che in eventi rappresentativi come la Coppa Davis, dove il formato brilla di più)”. Ma serve anche come riempitivo degli eventi più grandi.

E dunque, che si può fare? “La tesi di Murray è che il doppio sia entrato in una sorta di spirale mortale. Una promozione limitata porta a una minore rilevanza e a una minore riconoscibilità. I programmatori – sia per la tv che per gli eventi stessi – iniziano quindi a nascondere i doppi alla vista, e il circolo vizioso ricomincia”. Hutchins vuole “accelerare il gioco. Se un torneo sa che una partita non durerà fino a due ore e mezza – rovinando così i tempi delle successive gare di singolo – sarà più probabile che programmi i doppi su un campo da grande spettacolo”.

Si pensa di sperimentare (probabilmente a partire da Madrid a maggio), partite senza pause ai cambi campo, e con un cronometro accelerato a gestire i lunghi dibattiti tattici tra i giocatori. Ma è chiaro che la priorità è coinvolgere di più i grandi giocatori di singolare. Quelli che “creano una narrazione intrigante: chi vince quando gli specialisti affrontano i migliori del mondo?”

Il problema è che i campioni già giocano troppo e il doppio lo usano solo come warm-up, poi si ritirano. Al Challenger di Phoenix per esempio (quello in cui Berrettini ha raggiunto la finale) si è giocato solo un quarto di finale, perché i singolaristi ancora in gioco (tra cui Fognini, Kokkinakis e Safiullin) avevano altre priorità e si sono ritirati.

Il problema,  guarda un po’, sono i soldi: quando un titolo di singolare vale sei cifre, è difficile convincere i giocatori a impegnarsi allo stesso modo in un evento di doppio in cui una partita potrebbe valere 10.000 dollari. La soluzione va verso la velocità: partite di doppio da un’ora, un’ora e un quarto massimo. E finale il giovedì.

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