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Mourinho: «È vero non sono umile, ho fatto tante imprese»

Lo Special One racconta a Buffa: «Non dimenticare mai che non sarai allenatore di calciatori, ma di uomini. I giocatori che lavorano con me sanno che sono onesto, così si crea empatia»

Mourinho: «È vero non sono umile, ho fatto tante imprese»
Mg Budapest (Ungheria) 31/05/2023 - finale Europa League / Siviglia-Roma / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Jose’ Mourinho

Federico Buffa e Federico Ferri si sono incontrati, per un nuovo episodio di “Federico Buffa Talks”, per fare quattro chiacchiere con José Mourinho. Il programma è disponibile alle 23 su Sky Sport Uno o in straming su Now. Il suo ricordo inizia dal passato in Portogallo fino al presente, con la Roma, dando uno sguardo al futuro:

«È la mia vita, l’ho vissuta fino ad oggi e per me è normale, niente di straordinario. Magari da fuori avete un’altra percezione, per me è normale»

Hai iniziato insegnando ai disabili a Setubal.

«Ero in difficoltà in quel periodo lì, avevo una laurea in Scienze Motorie. Dopo tre anni, ognuno di noi sceglieva il proprio futuro. In quegli anni, sono stato ovviamente nel calcio, nei campi di allenamento e lavoravo con bambini con Sindrome di Down. Non ero all’altezza della dimensione di quel lavoro lì, mi ha salvato il rapporto che ho creato con quei ragazzi lì, avevano tra i 12 e i 17 anni, io ne avevo 24 e mi guardavano come uno di loro. Sono riuscito a fare calcio per loro e creare con quella squadra un rapporto umano. Non sono io diciamo il genio di quella fase, ma un mio professore universitario che mi diceva che io sarei stato allenatore di giocatori che giocano a calcio. Tornando a quel periodo lì con la scuola di educazione speciale, quella è stata la mia salvezza. Sono stati due anni straordinari per me»

Cosa ti sei portato dietro da Setubal?

«Setubal (ride, ndr). Sono stato un ragazzo veramente felice, fortunato e felice. Fortunato per gli amici, felice per la famiglia. Tutto quello che io ricordo di Setubal, ogni giorno che sono andato via, però quei 26 anni che sono stato a Setubal tutti i ricordi sono assolutamente fantastici. Per me è un periodo di libertà, una generazione che penso che non dobbiamo avere alcuna invidia delle nuove generazione. Abbiamo vissuto in maniera speciale, a Setubal non sono neanche José quando torno, quando torno sono Zé con una zeta e una è. Vado in giro con giacca, pantalone corto, con una t-shirt bruttissima, la gente mi saluta senza fermarmi, mi chiedono come sto perché è casa mia. Posso avere casa a Londra, a Roma, posso aver girato il mondo ma come famiglia siamo stati fortunati. Abbiamo vissuto a Londra, Madrid, Milano, Roma, abbiamo avuto una vita importante. Setubal, però, è Setubal, non abbiamo la Fontana di Trevi ma abbiamo un’altra fontana che, se bevi dell’acqua da lì, sarai fortunato tutta la vita. E io l’ho bevuta»

Quando il calcio è entrato dentro casa tua?

«Tre ore dopo che sono nato. Mio padre aveva la partita alle 15:00, io sono nato tre ore prima. Alle 10:00 del mattino, mio padre aveva lasciato l’albergo per vedere il suo secondo figlio quindi il calcio è entrato subito dentro di me»

Tuo padre?

«Sono orgoglioso di quello che ha fatto come calciatore e come allenatore, mi ha fatto essere un bambino super orgoglioso, penso all’uomo che sia stato. Non voglio parlarne troppo perché mi commuoverei troppo»

Che ricordi hai del calcio in Portogallo?

«Quando hai una famiglia che vive nel calcio e quando hai un padre che ha giocato solo per due club, magari la gente non capisce ma se il calcio diventa la nostra vita il calcio non è uno scherzo. Quando è così, tu cresci con questa mentalità, mi ha aiutato a guardare la mia professione in altra maniera»

Com’eri da calciatore?

«Ero più bravo di quello che poteva pensare la gente, però sono arrivato tra Serie B e Serie C, in Serie C ero di altissimo livello. Ho scelto di allenare e ho fatto una scelta consapevole del fatto che come calciatore avevo fatto il massimo. Quando ho vinto per la prima volta, il calcio diventa una cosa diversa. Il calcio è una passione e mi diverto ancora con il calcio, faccio la mia professione con la maggior serietà possibile»

I contenuti dell’intervista si sono poi concentrati sull’umore dell’allenatore, la sua personalità e le critiche a lui rivolte:

«Devo dare ragione a quelli che dicono che non sono umile. Ho fatto tante imprese. Vincere la Champions con il Porto ovviamente è una super impresa, con 9 giocatori portoghesi nell’11 che hanno giocato la finale di Champions, con 7 ragazzi che un anno prima non avevano una sola partita di Champions League giocata. È stata una grande impresa. Però ce ne sono altre, perché se ho avuto la fortuna di lavorare con grandi squadre, con grandi budget, ho avuto anche la difficoltà di lavorare con squadre dove vincere è un miracolo. Io ho vinto con quel Manchester United, ho vinto con la Roma una coppa europea e mezza, una e mezza»

Infine, Mourinho racconta uno dei suoi principi che lo hanno accompagnato per diventare un grande allenatore:

«Il genio è stato un mio professore all’Università, che mi disse: ‘Non dimenticare mai che non sarai allenatore di calciatori ma di uomini, ragazzi, che giocano a calcio. Non c’è un segreto, un menù, si tratta semplicemente di essere me stesso, di essere empatico con la gente che lavora con me. Essere empatici significa anche essere critici, esigenti, aperti, onesti»

 

 

 

 

 

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