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Il dibattito carbonaro sul Napoli e su De Laurentiis (che ha ancora la scorta)

C’è un mercato nero delle idee e dei dubbi che ruotano attorno all’apparente idillio e alle strategie del club sempre più aureliocentrico

Il dibattito carbonaro sul Napoli e su De Laurentiis (che ha ancora la scorta)

Al 31 di luglio, a meno di venti giorni dall’inizio del campionato, comincia a essere lecito fare il quadro della situazione del Calcio Napoli e a porsi qualche domanda. In un clima di apparente plebiscito, quando sembra che manchi poco all’attribuzione, all’anagrafe di Napoli, dei primi bambini chiamati Aurelio, si è creato una sorta di mercato nero delle idee e del dibattito sul futuro del Napoli e del suo presidente. È un dibattito carbonaro. Ufficialmente nessuno dice nulla. Il motivo è stato più volte ribadito: la figuraccia rimediata lo scorso anno dalla sguaiata contestazione di piazza che ha aperto la stagione conclusasi con il trionfo degli azzurri e la conquista dello scudetto con mesi d’anticipo.

De Laurentiis è oggi una figura assimilabile a quella dei re taumaturghi. La piazza è convinta che sia dotato di poteri salvifici. E quindi ritiene che sia meglio non porre domande, men che meno criticare: si rischia di finire nel girone degli sbertucciati. Anche perché il Napoli, avendo vinto il campionato con 16 punti di vantaggio, e con gli ultimi 2-3 mesi giocati in assoluta scioltezza, è per distacco il grande favorito della prossima Serie A. Nonostante lo stesso De Laurentiis abbia provato più volte a spegnere l’entusiasmo parlando addirittura di ricostruzione.

Basta attenersi a quel che abbiamo davanti agli occhi, per fare qualche osservazione.

Al 31 di luglio il Napoli non ha ancora sostituito Kim andato al Bayern Monaco e la cui partenza era nota da mesi.

Al 31 di luglio il Napoli non ha ancora sbrogliato l’intricatissima matassa Osimhen. Il rinnovo del nigeriano è sempre a un passo, il calciatore è felicissimo di rimanere a Napoli, è definito entusiasta, le trattative proseguono serenamente. Fatto sta che il rinnovo ancora non c’è. Anche perché lì fuori, tra arabi e non arabi, i milioni quasi te li tirano in faccia e Osimhen, piaccia o meno, oggi è considerato dal mercato il terzo centravanti più forte del mondo dopo Mbappé e Haaland. Se pensiamo che Mbappé, grazie alle cure della amorevole madre, sta per intascare il premio fedeltà di 40 milioni di euro dal Psg, ci sembra del tutto naturale che l’entourage del nigeriano voglia capitalizzare lo status di terzo centravanti più forte del mondo. Lo stesso, ovviamente, vale per Aurelio De Laurentiis che si ritrova davanti un treno – diciamo l’equivalente del Glasgow-Londra, quello della celeberrima rapina – che potrebbe non passare più.

Aggiungiamo che il Napoli – fresco di scudetto – ha detto addio a tre se non quattro figure rappresentative della società: innanzitutto Spalletti e Giuntoli, due figure fondamentali nella creazione della squadra che aveva vinto già a gennaio; quindi lo storico responsabile marketing Formisano e infine il preparatore atletico Sinatti. Tutti ufficialmente rimpiazzati. Ma, giusto per fare un esempio, è piuttosto evidente la differenza tra la presentazione di Giuntoli alla Juventus e quella di Meluso al Napoli. La Juve ha chiarito in maniera evidente perché ha scelto Giuntoli, lo ha ribadito lo stesso Elkann. È considerato uno degli eredi del metodo Napoli, metodo che ha consentito al club di De Laurentiis non tanto di vincere ma di farlo con il bilancio in attivo. Di Meluso, invece, sappiamo ben poco per non dire nulla. Lo stesso direttore sportivo, in una conferenza stampa ai limiti del surreale, ha raccontato la singolarità dell’ingaggio, con una telefonata improvvisa alle 7.30 del mattino, l’immediata partenza per Napoli, la firma dopo un colloquio e il successivo pranzo con De Laurentiis, il genero e Micheli che con Mantovani è lo storico stratega dello scouting del club.

Quel che appare evidente è che con la conquista dello scudetto il Napoli sia diventato sempre più Aurelio De Laurentiis. Il cui ruolo fondamentale, peraltro, è stato più volte sottolineato sia in Italia sia, soprattutto, all’estero. Come testimoniato dalle decine di interviste concesse ai più prestigiosi quotidiani internazionale. È stata incontrovertibilmente la vittoria di De Laurentiis. Decisamente più di Spalletti, più di Giuntoli, e persino più di Osimhen e Kvaratskhelia. Anche perché – diciamolo – la storia era succulenta. L’uomo che ha vinto in opposizione alla città. Nonostante la città. Narrazione che ha resistito alla conversione neomelodica suggellata dall’ormai celebre fotografia con gli ultras. Lo scudetto è stato vinto prima di quello scatto, anche se l’aritmetica è arrivata dopo. De Laurentiis ha vinto con un metodo e poi ha celebrato la vittoria come se quel profondo conflitto non fosse mai esistito. Eppure è come se i meritati riconoscimenti non avessero appagato De Laurentiis evidentemente turbato dal pericolo che qualcuno potesse fargli ombra. Vuole dimostrare che il Napoli è fondamentalmente lui. Oggi in società non c’è praticamente nessuno che possa neanche lontanamente pensare di oscurarlo. O di avere un confronto quasi alla pari. Fermo restando il ruolo chiave di Chiavelli.

Abbiamo capito che il presidente aveva sete di consenso, come dimostrano le continue apparizioni alla ricerca della standing ovation. Una debolezza umana che possiamo comprendere dopo quindici anni a raccogliere insulti di ogni tipo, critiche e sfottò. Anche se il grottesco è lì, dietro l’angolo. E siamo magnanimi.

L’estate 2023 segna la nascita di un altro De Laurentiis, stavolta in armonia con la città. Presunta armonia. L’armonia presunta più che l’armonia perduta. In realtà siamo più prossimi al servilismo che alla reale comprensione della bravura imprenditoriale. Nessuno dei vecchi contestatori ha realmente cambiato idea. Aspettano solo il momento giusto per poter tornare in prima linea.

L’unica linea di continuità tra il vecchio e il nuovo De Laurentiis è probabilmente un lascito della burocrazia. Il presidente ha ancora la scorta, resta oggetto di un’attenzione particolare da parte delle forze dell’ordine. Come se la pace con gli ultras non fosse mai stata siglata. Invece lo è stata eccome. Erano presenti alla prima di Garcia a Capodimonte, sono saliti a Dimaro. Diciotto anni di lotte sono stati dimenticati in un amen. Eppure De Laurentiis resta un cittadino considerato più a rischio di altri. Chissà, è come se lo Stato sapesse che in questi casi bastano due pareggi di fila per tornare da capo a dodici.

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