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Simeoni: «Feci il record del mondo col ciclo, non stavo in piedi. Berruti mi offrì un bicchiere di Bonarda»

A La Repubblica: «Non faccio la dirigente perché non volevo essere solo una figurina. Gli atleti oggi sono costruiti, sono senza contenuto».

Simeoni: «Feci il record del mondo col ciclo, non stavo in piedi. Berruti mi offrì un bicchiere di Bonarda»

Emanuela Audisio intervista Sara Simeoni per La Repubblica. Mercoledì la Simeoni compirà 70 anni. A differenza di molti campioni dello sport, oggi non fa la dirigente.

«Io no, le altre sì. Federica Pellegrini come atleta siede al Cio, Silvia Salis, ex martellista, è vicepresidente Coni, Stefano Mei guida la federazione di atletica. Canottieri e schermidori hanno anche loro posti di rilievo. Ma a me fare la donna immagine non interessava, la proposta era quella, essere una figurina, non quella di entrare nella stanza dei bottoni. Quella opportunità non c’è mai stata. Anzi volessero farmi un regalo per i miei 70 anni chiederei loro: perché? Ma dubito della loro sincerità».

Alla Simeoni viene chiesto se si piaceva. Risponde:

«Ammiravo le Kessler, non mi sentivo Claudia Schiffer, ero più Pippi Calzelunghe. Molto a disagio con le mie gambe, che avrei volentieri cambiato. In famiglia tutti secchi e asciutti, con la stranezza di avere un padre veneto astemio. Sono cresciuta in campagna, a Rivoli Veronese, con due sorelle e un fratellino. Avrei proseguito con la danza, ma ero troppo alta. Forse oggi per il balletto moderno andrei bene. Non mi consideravo una bella gnocca. E il mio 41 di piede non aiutava, come il materiale di allora. Cercavamo tutte di farcelo star bene».

Le atlete chiedono studi sul ciclo mestruale. La Simeoni:

«Ma va, lo studiavano anche ai miei tempi. Come prevenirlo e bloccarlo. Io non ho mai voluto, lo sapevano, e mi hanno rispettata. Però se le gare duravano molto, le difficoltà c’erano, e anche qualche imbarazzo, il materiale non era studiato per le donne, così io scappavo spesso in bagno».

Eppure la Simeoni fece il record del mondo proprio nei giorni del ciclo.

«Sì, avevo la pressione bassa, non mi tenevo in piedi e non mi allenavo da tre giorni. Arriva Livio Berruti e mi vede un po’ giù: dai Sara facciamoci un bicchiere, ho portato un’ottima Bonarda piemontese. Ma Livio, devo saltare. Insistette: una bevuta, che sarà mai? Aveva ragione, mai fatta una curva in gara così rilassata. Attorno allo stadio di Brescia non c’erano edifici alti, era il 4 agosto, il sole stava per tramontare, guardavo l’orizzonte, tutto era libero, non potevo fare confronti con l’asticella. Il 2,01 venne alla seconda prova, molto pulito. Nove salti in tutto, tre sbagliati, due record italiani, il primo a 1,98. Poteva bastare. La Rai non c’era, era dagli uomini. A quei tempi era così: prima loro, poi se restava qualcosa era per noi. Per fortuna si sono recuperate le immagini da Brescia Telenord».

Cinque generazioni fa lei già volava dove arrivano le azzurre oggi.

«Cosa devo dire? Possibile che un giorno siano invincibili e strepitose e l’indomani nemmeno si qualifichino per le finali? Mi dicono: non hai mai sbagliato una gara. Oddio, vero: un oro e due argenti olimpici lo dimostrano. Ma io 27 giorni dopo quel 2,01 l’ho risaltato agli Europei di Praga. Non ero una stella cadente. La differenza è questa: noi ci allenavamo per essere in forma nel momento più importante dell’anno. A quel punto sapevamo il nostro valore e da lì non ci tirava giù nessuno».

La Simeoni commenta l’atletica di oggi.

«Bravi, ma molti personaggi sono costruiti. Spesso c’è la loro narrazione, ma non il contenuto. Noi facevamo risultati, eravamo persone, nessuno ci raccontava, parlavano le misure».

La Simeoni parla di Mennea.

«Con Pietro Mennea dividevamo le ore al campo, poi ognuno per conto suo. Mi è dispiaciuto, una pizza in più non
avrebbe guastato ma lui era fatto così».

Almeno ha vissuto l’atletica.

«Sì, con molte avventure in America, Giamaica, Senegal. Non ho mai pensato che l’atletica fosse una cosa e la vita un’altra. Le ho mescolate, convinta che non avrei avuto rimpianti. A 33 anni ho detto basta. Senza avvisare nessuno. Le cose si fanno, non si annunciano».

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