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L’unico mare che bagna Napoli è quello dell’ipocrisia

Assistiamo a un’orgia di festoni, babà, torte. Prodotti dalla stessa Napoli che aveva creato un clima irrespirabile. La realtà è che il Napoli vincerà nonostante loro

L’unico mare che bagna Napoli è quello dell’ipocrisia
Uno dei tanti striscioni della scorsa estate contro De Laurentiis, questo per deridere e contestare l'arrivo di Kim

Facciamo un rapido recap, come amano dire gli efficientisti.

Volevano cacciare Spalletti: gli dedicarono un ignominioso striscione (“La Panda te la restituiamo, basta ca te ne vaje”) alla fine del campionato scorso. Venne additato come unico responsabile del mancato scudetto e in più osò contraddire in diretta Ciro Mertens idolo indiscusso delle folle.

Volevano cacciare Giuntoli considerato il signor sì al servizio del padrone, sbertucciato per la sua conferenza estiva a Dimaro.

Di De Laurentiis non ne parliamo nemmeno. Soprannominato da anni pappone a furor di città. Gli striscione erano degli ultras ma il consenso era ben più esteso. Napoli è città dove regna una deprimente saldatura tra i cosiddetti ceti delle professioni, con l’aggiunta di scrittori, presunti intellettuali e maitres à penser, e il popolo. In estate, la Digos consigliò al presidente di non presentarsi alle amichevoli estive tanto il clima era complicato.

Potremmo continuare a lungo ma ci limitiamo a ricordare lo striscione per deridere l’acquisto di Kim, casomai qualcuno lo avesse dimenticato: “Kim, Merit, Marlboro, tre pacchetti dieci euro. Pezzente non parli più, paga i debiti e sparisci”.

Questo era il clima in città l’estate 2022. Per fortuna nessuno nel Napoli pensò di dar retta alla piazza e ai tifosi illustri, e realizzò quella che è passata alla storia come una delle campagne acquisti più efficaci della storia del calcio italiano (e forse non solo italiano). Il Napoli, a partire da De Laurentiis, ebbe il coraggio di salutare calciatori che avevano fatto il loro tempo. Mentre la “vera Napoli” piangeva le partenze di Koulibaly, Insigne (meno, decisamente meno) e soprattutto Mertens (a proposito, ma che fine ha fatto la cittadinanza onoraria? È come se l’Amministrazione improvvisamente non avesse più fretta). In città l’aria era irrespirabile. La campagna abbonamenti venne derisa.

Questa era la situazione nell’estate del 2022. Otto mesi dopo, ovviamente, lo scenario è completamente cambiato. Nonostante il corpaccione di Napoli. Che ora, come se nulla fosse, produce e crea torte, babà, sfogliatelle azzurre, ricopre la città di festoni, prova a mascherare il ridicolo con quelle prove di napoletaneria (copyright Raffaele La Capria) che tanto piacciono ad alcuni media. In quel testo sacro che è “L’armonia perduta” La Capria (abbiamo avuto scrittori e intellettuali sopraffini da queste parti) spiegava così la napoletaneria: «Come succede a quell’attore che incontra successo anche con una pessima recitazione e lo sa, e ci dà dentro lo stesso, perché così vuole il suo pubblico e così vengono gli applausi – allo stesso modo il napoletano ci dà dentro con la “napoletaneria”, e anche se sa che la sua recita è pessima e non corrisponde affatto a quello che lui veramente è ma al suo peggio, egli sa che proprio quel peggio gli è richiesto dal pubblico dei non napoletani, ed è proprio quel peggio che tira l’applauso».

Per alcuni media, per fortuna sempre meno, Napoli ha il fascino dell’immutabilità. Per alcuni, sia chiaro. Concetti basilari per questo comprendere questo successo sono per fortuna passati: l’estraneità del Napoli di De Laurentiis alla Napoli da cartolina. Calciatori che nemmeno parlano l’italiano e che il loro giorno libero vanno a trascorrerlo all’estero o a Milano. Giocano nel Napoli ma non sono stati fagocitati da Napoli. È uno dei principali ingredienti di questo successo. Cui vanno aggiunti la lezione di management impartita alle squadre del Nord. Programmazione. Competenza. Serietà. Gestione aziendale illuminata. Che poi sono da sempre caratteristiche dei napoletani, com’è facile dedurlo dalla presenza di napoletani nelle grandi aziende del Nord e del mondo. Finalmente anche a livello nazionale non ci si sorprende più che allo stadio il tifo è un mortorio, mentre invece in trasferta i napoletani fuori sede e non organizzati si fanno sentire eccome.

Resiste ancora, però, un filone narrativo che si ostina a considerare Napoli un Paese dei balocchi che non deve essere sporcato con la verità. Per alcuni suona rassicurante – diremmo infantile – immaginare che esista un luogo dove si balla e canta dalle prime luci del mattino, ci si aiuta l’un l’altro e si vive immersi in un mare di bontà (tranne quando qualche proiettile vagante ti manda all’altro mondo, si capisce). Noi amiamo ricordare che Eduardo De Filippo in “Napoli milionaria” eresse a protagonista una mamma che governava senza scrupoli il mercato nero dei medicinali e non si fermò nemmeno di fronte a un padre la cui figlia era in fin di vita. Ma allora non c’era la dittatura dei like, gli intellettuali svolgevano il loro mestiere: essere scomodi.

Detto questo, il diritto a festeggiare è sacro. Soprattutto per i bambini. Ciascuno lo fa come crede e per quanto tempo crede. Ci sembra però di cogliere uno strano sentimento: come se la festa fosse un lavacro, una grande coperta sotto cui nascondere il proprio imbarazzo. È sacrosanto festeggiare la laurea ma solo uno stolto confonderebbe la festa con la fatica e il processo che ha portato alla laurea. E sarebbe grave non ricordare che il contributo di quella grossa fetta città a questo storico evento è stato praticamente pari a zero. Il Napoli ha dominato e vincerà nonostante loro. Non grazie a loro. Possono pure creare la pastiera a grandezza naturale di Vesuvio. L’evento, il successo, ‘o fatto, è nato seguendo dinamiche estranee a quella parte di città. Poi la festa è aperta a tutti, ci mancherebbe.

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