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Zenga: «Dopo la qualificazione contro lo Steuaua mio padre mi disse “Bravo”. Il mattino dopo è morto»

A Sette l’ex portiere della Nazionale ha parlato del suo racconto col padre e del fatto che, lui interista e il padre juventino, era una tragedia quando si giocava Juve-Inter

Zenga: «Dopo la qualificazione contro lo Steuaua mio padre mi disse “Bravo”. Il mattino dopo è morto»
Db Milano 03/02/2018 - campionato di calcio serie A / Inter-Crotone / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Walter Zenga

L’ex portiere della Nazionale italiana e dell’Inter, Walter Zenga, si è lasciato andare in una lunga intervista all’inserto del Corriere della Sera, Sette, nel corso della quale ha parlato dei suoi anni come calciatore e del suo rapporto col padre che aveva modificato addirittura il suo anno di nascita per farlo esordire in campo in anticipo quando aveva 9 anni

«Stiamo parlando degli Anni 70, la preistoria. Allora un ragazzino per essere tesserato doveva avere 10 anni compiuti, adesso mio figlio Walter jr, che ha quell’età, è iscritto già da 4 anni in una società minore di Dubai».

Perché il portiere?

«Mio papà aveva giocato in quel ruolo in serie C. Una volta mi ha regalato maglia, calzettoni e pantaloncini neri insieme a un pallone di cuoio. Quando andavo all’oratorio a giocare era difficile trovare uno che volesse stare in porta e che avesse un pallone bello: io avevo entrambi i requisiti, è venuto tutto in modo naturale».

Il rapporto con suo padre non è sempre stato facile, «Ho avuto dei periodi di blackout con lui per motivi che adesso mi sembrano sciocchi, ma che allora mi avevano ferito molto. Se tornassi indietro non perderei tempo». E poi era juventino:

«No, lui era juventino perso. Quando c’era Inter-Juve era un problema: se perdevamo io mi arrabbiavo, piangevo. Anche il mio primo figlio Jacopo è bianconero, siamo una famiglia strana. Però gli altri quattro figli sono dalla mia parte».

Zenga racconta la morte del padre dopo la partita contro la Steaua Bucarest:

«Ho la fortuna di avere un fratello fantastico: Alberto, che ha sei anni meno di me, ha tenuto sempre i fili del nostro legame. Quando mio padre si è aggravato ero a Bilbao con la Steaua di Bucarest per una partita di Coppa Uefa: eravamo felici, ci eravamo qualificati al turno successivo. Mio fratello mi scrisse un messaggio:“Complimenti, sei stato un grande. Sappi che papà non arriva a lunedì”. Mi sono accorto che non avevo più tempo. Sono tornato a Bucarest, ho diretto la partita del sabato e sono scappato a Milano. Ho fatto appena in tempo a vederlo».

Che incontro è stato?

«Papà si è tolto la maschera dell’ossigeno e mi ha detto:“Bravo, 3-0 e ti sei qualificato. Stai andando bene, sono contento di quello che stai facendo e sono contento di vederti”. Il mattino dopo è morto».

Allenare l’Inter è il suo sogno

«Lo è sempre stato, ho fatto tutta la trafila dalle giovanili, ho lavorato in sede, ora sono una leggenda. Nella vita è importante inseguire un grande sogno, fa niente se si avvera o no. La mia soddisfazione è che ancora oggi per strada i tifosi dell’Inter mi fermano ed è come se avessi smesso di giocare l’anno scorso. E anche quando qualcuno di un’altra squadra mi dice cose poco carine, non mi offendo: vuol dire che un segno l’ho lasciato nonostante l’ultima partita ufficiale sia stata l’11 maggio 1994»

Cosa ricorda di quel giorno?

«Tutto. Ricordo qualsiasi sfumatura di tutti i match che ho giocato, quello che mi ha dato l’Inter è stato enorme». Un’altra maglia, quella della Nazionale

Il rapporto tra Zenga e Gianluca Vialli:

«Da quando se n’è andato, se vedo una foto o un’intervista in tv giro, troppa emozione. Prima Sinisa, poi lui, Tacconi che è ancora in ospedale… Sono coltellate. Nell’Under 21 io e Luca eravamo in camera insieme. Non avevo con lui il rapporto che hanno costruito negli anni Mancini o Lombardo, ma eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Magari ci sentivamo a distanza di un mese, ma ad ogni chiamata era come se la linea fosse caduta un minuto prima».

La squadra che, da mister, ha nel cuore Zenga?

«Sono mourinhano: dove vado, divento un ultrà dei miei ragazzi. Ho avuto tanto da Catania e Palermo. A Crotone ho lasciato l’anima. Poi la Samp, il Venezia. Ogni città mi ha dato qualcosa». In radio ha lavorato con Amadeus, oggi impegnato con il Festival. «È un interista sfegatato, simpatico e di compagnia (sorride). Mi fa incazzare solo che non mi abbia mai invitato a Sanremo».

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