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I giornali italiani e la Egonu: «Razzisti noi? Ma se sei nera e in Italia ti lasciamo parlare liberamente…»

Al trenino dell’educazione civica trainato da Libero, Giornale e Verità si accoda il Corsport: «non lamentarti, guarda che succede in Iran»

I giornali italiani e la Egonu: «Razzisti noi? Ma se sei nera e in Italia ti lasciamo parlare liberamente…»
Sanremo (Im) 09/02/2023 - 73° Festival di Sanremo / foto Image nella foto: Paola Egonu-Gianni Morandi-Amadeus

Vengono in Italia a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare: i campioni di pallavolo. Si prendono le nostre donne, perché non gli basta essere donne, sono anche sessualmente fluide. S’impossessano del teatro Ariston (il più meschino dei sacrilegi, il Vaticano è terra straniera) e da quel pulpito ci accusano – a noi! – di essere razzisti. Proprio a noi che alle Paola Egonu sbarcate (perché non c’è verso di nascerci, neri, in questo Paese. Al massimo ci sbarchi male) abbiamo “consegnato” le azzurre maglie della Nazionale. Le abbiamo “permesso” di diventare leggende dello sport. Le concediamo, persino, di parlare liberamente. E l’Iran? E quelle pòre donne iraniane che manco possono sciogliersi i capelli? Non ci pensi, Paola? Eh, Paola?

La rassegna stampa del post-Egonu a Sanremo è una roba vomitevole. Almeno la parte tutta a destra che aspettava il monologo dell’Ariston per ricordare al mondo intero che Egonu ha profondamente ragione: l’Italia è un Paese profondamente razzista. Quella porzione di giornalismo che si riduce ai distinguo agonistici quando viene colto in fallo, e che per suscettibilità maniacale passa all’immediato, cieco, surreale contrattacco. Libero con le sue due firme di spicco, Feltri e Facci. Libero. La Verità. Con la vigorosa new entry del Corriere dello Sport.

egonu razzismo

Perché che Facci scriva a mano libera di “sindrome da persecuzione razzista che è alimentata da chi finge di crederla vera, tipo giornalisti conformisti, bestiame da social network e qualche esponente politico che cerca i voti di mentecatti”, è compatibile con la linea editoriale del quotidiano. Che Feltri aggiunga che “non si può dire che l’Italia spicchi per razzismo, visto che ogni giorno vi approdano centinaia, se non migliaia, di africani” e che “è assurdo dire che siamo gente capace di discriminare esseri umani abbronzati, come direbbe Berlusconi”, è altresì abituale. È una solfa negazionista che non può non concludersi con un soffuso paragone alla sua natìa Nigeria.

Colpisce semmai il livore di Tony Damascelli, che le suggerisce passivo-aggressivo di “approfittare restituendo il cavalierato, come altri artisti internazionali, dello spettacolo e dello sport. Perché la Nazionale “non è un albergo a ore, con la porta girevole, pronta ad aprirsi al suo arrivo e ad accoglierla, per un giorno soltanto, cercando noi di essere tolleranti e lei generosa o smemorata nell’indossare la maglia di un Paese però razzista”. 

Ma è l’editoriale firmato da Cristiano Gatti sul Corriere dello Sport che traccia un solco. Per contesto è il commento più accidioso, ad un passo piccolo così dal “torna al Paese tuo” di quelli che sui social immaginano che il Paese suo sia uno pieno di “gente negra”.

Gatti è uno stimato giornalista di lungo corso, scrittore, un suo articolo sulla vittoria di Bartali al Tour finì tra le tracce dell’esame di maturità, uno che esprime concetti tutt’altro che banali sullo stato comatoso del giornalismo. Ma tant’è. Gatti definisce Egonu “la campionessa frignona” e scrive che “le è presa questa fissa della campionessa infelice, infelice per colpa nostra, e non fa che rinfacciarlo”. Proprio a lei che “avrebbe tutte le carte in regola per vivere nel cotone di questi tempi correttamente benpensanti, è donna, è di colore, è lesbica, non le manca proprio nessun requisito per essere intoccabile”.

Egonu

Gatti scrive in premessa d’articolo che lui – ci tiene – “non viene da Marte”. Ma evidentemente abita un altro pianeta dove le donne nere e bisessuali vivono “nel cotone”. Si noti il riferimento – si spera non voluto – alle piantagioni della schiavitù, ma vabbé. Scrive per un giornale sportivo che ogni weekend ha sotto mano un osservatorio privilegiato sul razzismo endemico: il calcio. Non serve volare su Marte, basta andare allo stadio, uno qualunque, e aprire le orecchie.

Invece no. “Evidentemente non basta”, sbotta. Ma come… – scrive – “il Paese che la fa diventare bandiera della pallavolo nazionale e che le stende la passatoia rossa a Sanremo per umiliarci”? Il nesso implicito qui è: non è la Egonu che, essendo la più forte giocatrice di pallavolo del pianeta, ci fa l’onore di essere la nostra bandiera… siamo noi, NOI, a concederle il lusso di rappresentarci. Noi che evidentemente abbiamo coccolato la “giovane promessa” Egonu fino a farne una “venerata maestra”, tenendoci stretti il ruolo – abbastanza evidente – di “soliti stronzi”. Arbasino è sempre attualissimo.

Andiamo avanti. “Cosa vuoi dire, a una primadonna così carica di rancori?”, si chiede sfranto Gatti. Che si risponde: “Solo una cosa, magari. Cara Egonu, per quanto razzista e schifoso, questo resta comunque il Paese in cui sei libera di dirlo”Traslitteriamo: sei nera e puoi parlare liberamente, che altro vuoi?

Poi il lampo di genio: l’Iran.

“Eventualmente senti Pegah, la ragazza iraniana cui a Sanremo è sembrato un sogno semplicemente sciogliersi i capelli”.

Secondo Gatti – magnanimo – la ragazza si farà, va capita, è ancora immatura: “diventerai una donna adulta, civile, responsabile”. Una brava madre di figli della Lupa: “Una bella e valorosa donna italiana, una bella e valorosa persona italiana”.

Al confronto La Verità, che definisce Egonu “la Rula Jebreal della pallavolo” o “santino Black Lives Matter” sperando di offenderla, è avanguardia. La Verità che blatera di “raffermo populismo pop di sinistra che si trasforma in ideologia pulita sulla spinta delle pale eoliche della vanità”, è più sobria.

Dopo la lettura dei giornali viene da definire moderato, se non addirittura statista, Roberto Calderoli (sì, proprio lui) che dichiara: «Vorrei incontrare Egonu e capire». Per oggi è tutto.

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