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Lukic: «A Monza non fu ammutinamento. Tutti sapevano, Juric per primo»

A La Stampa: «Erano ore particolari, per me, non sarei stato me stesso. Il rinnovo è una partita aperta. Peccato non aver incontrato prima Juric».

Lukic: «A Monza non fu ammutinamento. Tutti sapevano, Juric per primo»
Db Torino 20/05/2022 - campionato di calcio serie A / Torino-Roma / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Sasa Lukic

A metà agosto nel Torino scoppiò il caso Lukic. Il giocatore granata non partì con la squadra per la trasferta a Monza. Si disse, all’epoca, che il motivo era una rottura con il presidente Cairo per il rinnovo: Lukic voleva lasciare il Torino.

Intervistato da La Stampa, Lukic smentisce si sia trattato di un ammutinamento. Tutti sapevano, dice, a partire dal tecnico. Aveva spiegato a compagni e allenatore che non sarebbe stato se stesso completamente se fosse partito con la squadra. Erano giorni difficili, per la questione del rinnovo. Tutti hanno capito. Il tecnico gli disse di tornare a casa e di non seguire la squadra in trasferta.

«Tutti sapevano, Juric per primo: la mattina della partenza per il nostro debutto in campionato a Monza ho parlato con il tecnico al Fila e gli ho detto che non sarei stato me stesso al 100 per cento. “Vai a casa…”, la sua risposta… Non si può parlare di ammutinamento, non è corretto: dovevo essere onesto con i compagni e con i tifosi. Quelle erano, per me, ore particolari».

C’era di mezzo il futuro.

«Il mio contratto scadrà tra un anno e mezzo e con la società stiamo parlando: la partita è aperta, se saremo tutti felici meglio. Il pomeriggio di Ferragosto mi sono presentato al campo, ho riunito il gruppo chiedendo scusa: da quel momento mi sono detto di dare ancora di più di quello che, di solito, do. Un piccolo messaggio alla gente proprio sul tema del mio futuro: nessuno sarà autorizzato a parlare a nome mio».

E le scuse ai tifosi?

«Certo. I tifosi non mi hanno fischiato alla prima occasione, mi auguro perché hanno capito come sono fatto».

Dice di pensare da capitano anche se non indossa la fascia.

«Quella del Toro è una maglia speciale, diversa, particolare. E, io, penso da capitano anche se non indosso la fascia».

Su Juric spende parole al miele. Parla del suo carattere e del modo in cui lavora in campo.

«La sua miglior dote è il modo in cui ti parla: diretto, sincero. Non sa fingere e, almeno per me, è meglio avere un allenatore che non giri attorno al problema. In campo sa come valorizzarti. Il mio rammarico è quello di non averlo incontrato prima, magari a vent’anni: sarei cresciuto in fretta e avrei messo le basi per diventare un centrocampista completo con largo anticipo».

La stagione del Torino non è delle migliori. «Se ripenso a quanto creiamo e a quanto raccogliamo, mi viene rabbia», dice, ma è convinto che la squadra potrà rialzarsi.

«Nel calcio è un attimo: se ritroviamo i gol, questa squadra può volare. La stagione è appena cominciata, siamo in corsa per i nostri obiettivi, anche quelli più grandi».

Come si ritrova la via della rete? Lavorando sulla testa, dice. Bisogna ritrovare la serenità e continuare ad allenarsi come si deve in settimana.

«Lavorando, anche sulla testa. I miei compagni si fermano dopo l’allenamento per provare le soluzioni offensive: tiri e ancora tiri. Far gol, seppur durante la settimana al Fila, aiuta…».

L’anima italiana in un gruppo quanto pesa?

«Molto perché ti dà quella sana furbizia del vostro, e ormai mio, calcio: prendere una punizione nei minuti finali, rimanere aggrappati alla bandierina, difendere come in un bunker».

 

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