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Rummenigge: «Appena arrivai a Milano Causio guardò i miei calzini bianchi e mi fece “no!” con l’indice»

Alla Süddeutsche: “Con gli italiani si esce a cena, si parla della vita. Gli affari solo dopo il caffé. Sanno campare”

Rummenigge: «Appena arrivai a Milano Causio guardò i miei calzini bianchi e mi fece “no!” con l’indice»

Karl-Heinz Rummenigge, ex leggenda dell’Inter, ex amministratore delegato del Bayern, membro del Comitato Esecutivo Uefa. Arrivò Milano nel 1984, a 28 anni, da Monaco all’Inter per undici milioni di marchi: a quel tempo, la cifra più alta che un club straniero avesse mai pagato per un calciatore della Bundesliga. Salvò l’indebitato Bayern.

“Prima di allora avevo un po’ i paraocchi, in Italia la mia visuale si è allargata. Inoltre, non nascondo il fatto che all’epoca potevo guadagnare molto di più lì che in Germania. Ho imparato molto, culturalmente, linguisticamente. Questo mi ha aiutato moltissimo nella mia seconda carriera”.

In una bella intervista alla Süddeutsche racconta qualche aneddoto vintage dei grandi anni 80 del calcio italiani. L’ambiente, lo stile.

“All’Inter arrivavo tre quarti d’ora prima all’allenamento. E poi c’era espresso e brioche al bar prima di andare in campo. Gli italiani ne capiscono un po’ di più della vita di noi”.

Rummenigge e il divieto di calzini bianchi…

“C’era un balcone nell’ex ufficio, dove si presentavano i nuovi giocatori. Franco Causio era lì in piedi accanto a me in quel momento. Veniva dall’Udinese, aveva militato a lungo nella Juve, faceva parte della squadra del Mondiale 1982. Un bravo ragazzo, lo chiamavamo “Il Barone”: veniva sempre in Mercedes con un autista, era molto elegante, e andava in giro solo in completo. Mi dice: “Ehi, tedesco”, indica i miei calzini bianchi e scuote il dito indice. Ho un amico, disse, e adesso compreremo calze nuove. Di domenica! Sono passato ai calzini al ginocchio in seta nera. Li indosso ancora oggi”.

Rummenigge e la lingua:

“Ho iniziato in fretta a imparare, compravo ogni giorno la Gazzetta dello Sport, la leggevo con accanto il dizionario e cercavo ogni parola che non capivo. E ogni sera guardavo la tv italiana. A Monaco avevo un’insegnante: la signora Cantore. Si è congratulata con me quando ho rilasciato la mia prima intervista televisiva in italiano dopo alcune settimane in Italia. Mi sono fatto inviare tutte e dieci le domande in anticipo, ho memorizzato le risposte e le ho annotate su un pezzo di carta che ho messo vicino ai miei piedi dove gli spettatori non potevano vederlo. L’accordo era importante: il moderatore non poteva cambiare l’ordine delle domande! La mattina dopo, le persone per strada mi hanno fatto i complimenti per il mio italiano. Negli anni ’80 e ’90, la Serie A era quella che è oggi la Premier League: la massima serie in Europa. E siccome gli italiani parlavano esclusivamente italiano, avevo un vantaggio incredibile. Questo ha portato a conoscenti e amicizie, e questo mi ha portato così tanto a livello internazionale. Con gli italiani devi prenderti il tuo tempo, non puoi sederti a prendere un caffè e fare l’affare. Nel dubbio, esci a mangiare e parli della vita. E poi, alla fine, quando hai bevuto l’espresso, si parla di affari. Con gli inglesi ti siedi subito al tavolo e poi è tutto finito: deal or no deal”.

 

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