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Luca di Montezemolo: «Ferrari pianse per la vittoria di Lauda, Agnelli si commosse al concerto di Sinatra»

Al CorSera: «Ferrari non è mai venuto a Roma in vita sua, non ha mai preso un aereo o un ascensore. Io? La verità è che nella vita mi sono fatto il culo».

Luca di Montezemolo: «Ferrari pianse per la vittoria di Lauda, Agnelli si commosse al concerto di Sinatra»
Roma 05/07/2017 - funerali Paolo Villaggio / foto Insidefoto/Image nella foto: Luca Cordero di Montezemolo

Sul Corriere della Sera una bella intervista a Luca di Montezemolo. Parla della sua famiglia, il lato paterno formato da «piemontesi, aristocratici, militari» e quello materno, di origine emiliana.

«dai nonni ho preso i valori degli emiliani: gente di passione, con facilità di rapporti umani, e capacità di inventarsi mestieri nuovi. Ho sempre avuto molti amici veri, e diffidato delle persone senza amici. La mia formazione è stata diversa da quella, che trovo un po’ provinciale, dei giovani della borghesia romana: sempre insieme, all’Argentario e a Cortina… A me interessava conoscere il mondo e frequentare tutti gli ambienti, il figlio di Susanna Agnelli e il figlio del portiere; e mi è stato utile».

Racconta di avere molta fede.

«Quando mi sento sfiduciato, mi chiudo tre giorni nel santuario della Verna, dove san Francesco ricevette le stimmate; e quando ne esco sono un altro uomo».

Lei è considerato un uomo di comunicazione, di pubbliche relazioni.

«La verità è che io nella vita mi sono fatto veramente il culo. Ho lavorato tantissimo. Di sabato, di domenica. Alla Ferrari ho rivoluzionato la gamma dei modelli, rifatto la fabbrica, decuplicato il fatturato, vinto 19 mondiali tra costruttori e piloti…».

Parla di Enzo Ferrari, con il quale iniziò a collaborare nel gennaio 1973, dopo una partecipazione in radio che affascinò Ferrari al punto da chiedergli di fargli da assistente.

«Aveva le sue manie: non è mai venuto a Roma in vita sua, non ha mai preso un aereo o un ascensore, quando cedette la Ferrari all’Avvocato la firma si fece al pianterreno di corso Marconi. Ma era un uomo straordinario. Mi ha insegnato due cose: non arrendersi quando le cose vanno male; chiedere sempre di più, a se stessi e ai collaboratori, quando le cose vanno bene. Aveva un talento naturale per il marketing: il cavallino di Baracca, le auto tutte rosse, l’accortezza di far aspettare anche se la macchina era pronta. Ogni tanto arrivava in treno da Roma il decano dei concessionari, e ripartiva con l’auto per il cliente. Era Vincenzo Malagò, il papà di Giovanni; una volta andò via con
una Rossa per Mastroianni. La Ferrari per Enzo era come una donna bellissima, che si fa desiderare».

Ferrari si emozionava per le vittorie della Ferrari. Come quando Lauda vinse il Mondiale a Monza, il 7 settembre 1975.

«Clay Regazzoni vince il Gran Premio d’Italia, e Lauda è campione del mondo. Telefono a Enzo Ferrari, e intuisco che è commosso. Non l’avevo mai sentito piangere».

Stessa cosa per l’Avvocato Agnelli.

«8 ottobre 2000. Michael Schumacher sta per conquistare il titolo dopo ventun anni. L’Avvocato mi telefona quando mancano due giri alla fine: “È fatta, grazie, grazie…”. Io sono superstizioso, e gli dico: “Avvocato, aspettiamo…”. Ma sento che lui, come Ferrari, è commosso».

Anche l’Avvocato non l’aveva mai sentito piangere?

«Una volta, a Roma, all’ultimo concerto di Frank Sinatra, ebbi l’impressione che si fosse emozionato, ascoltando My way».

Com’era l’Avvocato?

«Diverso da come lo raccontano. Ad esempio era molto italiano. Amava il calcio, le auto. Non era affatto disinteressato al cibo: la prima volta che da ragazzo andai a trovarlo all’Argentario parlammo dell’olio toscano, quando veniva a Roma andavamo a Fregene a mangiare il pesce. Era anche lui un po’ superstizioso. Soprattutto, era legatissimo a Torino, al Piemonte. E voleva essere il primo promoter dell’Italia in America, nel mondo».

Nacque la leggenda che lei fosse suo figlio.

«In famiglia ne sorridevamo: “Mamma, cos’hai combinato?”. È vero però che per me è stato come un padre. Mi ha trasmesso la curiosità per gli uomini, per il mondo, per l’arte contemporanea: la pop art e l’arte povera, Lichtenstein e Alighiero Boetti, Warhol e Pistoletto… A Torino abitavo sulla sua stessa collina, qualche tornante sotto. Ogni tanto mi chiamava: “Vieni a vedere il secondo tempo di un film?”. Avvocato, ma perché il secondo tempo? “Va bene, vediamo il primo, poi andiamo a dormire”».

Sull’esperienza alla presidenza della Juventus:

«Fu un errore dire di sì. Dopo l’avventura bellissima di Italia ‘90, non ne potevo più del calcio, di stadi, partite, arbitri… Ma non potevo rifiutare. E poi l’Avvocato si era infatuato di Maifredi. Era il tempo del Milan di Sacchi, e lui in fondo aveva sempre amato il bel gioco: Sivori, Platini, Maradona, Baggio».

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