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Il documentario su Marta Russo a 25 anni dalla sua morte

Su Netflix. L’uccisione della giovane studentessa alla Sapienza, il processo, i due assistenti processati (e poi condannati), le testimonianze

Il documentario su Marta Russo a 25 anni dalla sua morte

Su “Netflix” si può vedere dal 1° agosto “Marta, il delitto della Sapienza”, il documentario Rai diretto da Simone Manetti – e scritto da Emanuele Cava, Gianluca De Martino, Laura Allievi -, che in due puntate racconta la vicenda della studentessa romana di giurisprudenza Marta Russo che fu colpita da un proiettile in un vialetto della cittadella universitaria della Sapienza il 9 maggio del 1997 (quest’anno sono 25 anni da quell’omicidio).

Il documentario ripropone il clima di incredulità formatosi dopo le 11.43 di quel giorno quando si seppe che una ragazza era a terra e subito fu portata in coma al Policlinico capitolino “Umberto I” e delle prime indagini svolte dal dirigente della Squadra Mobile Nicolò D’Angelo coordinato dal sostituto procuratore Carlo Lasperanza, che aveva in Italo Ormanni il procuratore capo.

Marta morì 5 giorni dopo e gli inquirenti misero in atto un’indagine a tappeto che porterà al processo di primo grado dove saranno messi alla sbarra due assistenti della Cattedra di Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza; Giovanni Scattone, per omicidio doloso aggravato dai futili motivi, che avrebbe premuto il grilletto e Salvatore Ferraro per favoreggiamento.

I protagonisti di quel tempo sono risentiti nel docu – penso nell’Aula Magna dell’Ateneo; quasi in un coro greco – singolarmente: sfilano i giornalisti Carlo Bonini, e Paolo Brogi, i genitori di Marta Russo – Aureliana Iacoboni e Donato Russo – e la sorella Tiziana e gli avvocati Francesco Petrelli (Scattone), Fabio Lattanzi (Ferraro) e Cristina Michetelli (Russo). Ma non la segretaria amministrativa Gabriella Alletto, che con Maria Chiara Lipari e l’usciere Liparota con le loro testimonianze furono alla base dell’incriminazione dei due giovani studiosi del diritto.

Il docufilm continua con il racconto del processo di primo grado e tutta l’opera è intervallata dalla lettura del diario segreto di Marta Russo letto da Silvia D’Amico. Tutti sanno come finì il primo grado ed anche il secondo con i relativi flussi processuali altri. La foto della ventenne Marta Russo è un’altra vena aperta dell’inesistente società civile italiana e ci ricorda che “un uomo con un’arma non è più un uomo”.

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