È una separazione che arriva con tre anni di ritardo. È stato un giocatore molto importante ma il Napoli ha diritto a vivere senza ombre
Il lungo addio. Tra Napoli e Mertens dovremmo essere ai titoli di coda e questo articolo vuole essere: 1) la testimonianza che non tutti qui si strappano i capelli per la separazione, anzi; 2) offrire un punto di vista diverso sul calciatore. Non essendo noi esperti di antropologia culturale né di comunicazione tribale, non ci occuperemo della vicenda dei soprannomi affibbiati al padre e del nome scelto dai genitori per il loro amato figlio.
Mertens ha 35 anni, il contratto in scadenza, ed è il calciatore che ha segnato più gol con la maglia azzurra (148). Alcuni davvero molto belli.
La leggenda metropolitana
Una leggenda metropolitana accredita l’ipotesi che il Napoli quest’anno non ha vinto lo scudetto perché Spalletti lo ha tenuto spesso in panchina. Nulla di più falso (qui ci sono tutti i numeri che vi occorrono). È senza Mertens (tranne la partita col Torino) che il Napoli ha ottenuto la striscia iniziale di dieci vittorie. C’era Mertens in due delle tre partite che hanno certificato l’estromissione dalla lotta scudetto. Contro la Fiorentina è entrato sullo 0-1, ha segnato il gol del pareggio. Poi, però, con lui in campo il Napoli ha perso. Contro la Roma è entrato sull’1-0 e i giallorossi hanno pareggiato. A Empoli è uscito sullo 0-2 e il Napoli è finito sotto 3-2 nel modo rocambolesco che conosciamo. È l’incontro che ha contribuito a creare la falsa leggenda. Sì ha segnato 11 gol che però hanno fruttato due punti. Mai decisivi.
Non c’è nulla di male. Gli anni passano per tutti. C’è però un problema. Anzi due. Uno è il peso politico di Mertens nello spogliatoio e nell’ambiente Napoli. Un peso decisamente sproporzionato al suo reale valore oggi in campo. Ogni parola di Mertens, fa rumore. Non altrettanto, almeno non più, i suoi gesti in campo. Il secondo è che Mertens obbliga a giocare in un certo modo. Ed è dal campionato 2017-18, quello dei 91 punti, che il Napoli non riesce a liberarsi dall’obbligo di giocare in quel certo modo. Abbiamo sacrificato un certo Ancelotti anche perché la squadra voleva tornare a giocare come piaceva a lei.
Centravanti atipico
Anche perché, diciamolo, Mertens è un centravanti atipico. Un calciatore dalle straordinarie doti balistiche ma un atipico. La sua carriera è anche svoltata in modo atipico. Arrivato a Napoli nel primo anno di Benitez, di fatto fu la riserva di lusso di Insigne. Realizzò gol molto belli, fece intravvedere doti di attaccante ma di fatto rimase confinato all’ala sia nel secondo anno di Rafa sia nel primo di Sarri.
Come spesso accade, la sua esplosione fu frutto del caso e della disperazione. È a dir poco distorta la narrazione che accredita Sarri di una straordinaria trasformazione tattica. La verità è che Sarri le aveva provate tutte. Non sapeva più che pesci pigliare e, perso per perso, mise Mertens centravanti. Bum. Ricordiamo le fasi che precedettero la svolta
- trasferimento di Higuain alla Juventus
- acquisto di Milik, che pure partì benissimo, ma si fece subito male
- tentativo con Gabbiadini centravanti. Esperimento che fallì. Non solo, ma una sua espulsione a Crotone (e conseguente squalifica) mise il tecnico spalle al muro.
Fu così che nacque Mertens centravanti. L’esplosione circa un mese dopo, con la tripletta a Cagliari. Quella fu la sua stagione migliore. Strepitosa. 28 gol in Serie A, 34 in totale. In realtà il Napoli non lottò mai per alcun obiettivo, la spensieratezza ebbe il suo peso. Ma in quel Napoli Mertens si rivelò il centravanti ideale.
L’anno successivo, quello dei 91 punti, non andò allo stesso modo. Partenza sprint, poi però fu uno di quelli che pagò tantissimo i titolarissimi di Sarri. A marzo era bello che scoppiato. Lo storytelling è sempre fondamentale. E la narrazione orsatodipendente ha fatto passare in secondo piano che quel Napoli non si reggeva più in piedi. Dries segnò 18 gol in campionato (memorabile il pallonetto alla Lazio all’Olimpico, e illusorio quello a Bergamo contro l’Atalanta). Ma ne segnò soltanto uno nelle ultime undici giornate, peraltro dopo lo scudetto perso in albergo. Sarri si accanì a metterlo in campo, contro ogni evidenza.
Qui cominciarono le preoccupazioni del non più giovane Dries. Non voleva saperne di tornare all’ala. Si sentiva centravanti. I numeri gli davano ragione, la piazza figurarsi. Fece bene nella prima stagione di Ancelotti. 16 gol in campionato e 3 in Champions: uno in casa del Psg. Ma non era più la stella. Non era il centravanti ideale per l’attuale tecnico del Madrid. Non possiamo non ricordare quel che accadde a Cagliari quando all’ultimo minuto si impossessò della punizione dal limite che in teoria spettava a Milik essendo il polacco sinistro. Dovette alzarsi il leader calmo dalla panchina per ricordagli le direttive. Lui si allontanò imbronciato, Milik prese la rincorsa e segnò. Quell’anno il polacco realizzò 17 reti in Serie A, una in più di Dries. Fu lui il capocannoniere della squadra.
L’ammutinamento
La storia è nota. De Laurentiis si incartò. Non ebbe il coraggio di smantellare l’impianto sarrita e seguire le direttive dell’allenatore. Finì come finì. Con l’ammutinamento contro De Laurentiis, con Mertens che è nel verbale del lodo arbitrale di Allan (“il calciatore Mertens, già in abiti borghesi d in procinto di lasciare lo spogliatoio, aveva un diverbio con il direttore sportivo”; “a fronte dei ripetuti inviti del direttore sportivo, i calciatori, tra cui i signori Mertens e Insigne, ribadivano fermamente il rifiuto a recarsi in ritiro, contestando anche al medesimo direttore, che lo stesso non li avrebbe aiutati a sufficienza con il presidente”). Con il presidente che rifiutò la carta Ibrahimovic e la diede vinta ai leader dello spogliatoio. L’errore più grave della sua gestione. Errore che di fatto ha ritardato di tre anni l’apertura delle finestre e l’ingresso di aria nuova. Finì persino con il rinnovo di Dries, Nei due anni di Gattuso, non è mai arrivato in doppia cifra.
In Nazionale
La conferma dell’anomalia tattica del centravanti Mertens arriva anche dal Belgio. Perché è sì vero che Dries è il quinto calciatore per presenze nella Nazionale belga ma è altrettanto vero che ha cominciato in panchina tutte le partite più importanti dalla squadra in questi anni. E cioè i quarti di finale contro l’Argentina nel Mondiale 2014; i quarti contro il Galles a Euro 2016; la semifinale contro la Francia ai Mondiali 2018; i quarti contro l’Italia a Euro2020. I numeri dicono che dopo il Napoli di Sarri Mertens non ha mai più ritrovato una squadra che lo facesse sentire il centravanti.
Tutto questo per dire che Mertens è stato certamente un ottimo calciatore. Con acuti straordinari. Ha segnato gol straordinari e iconici. Ha fatto gol al Real Madrid, al Liverpool, al Benfica, al Psg, al Barcellona. Secondo noi, ha finito con l’avere un peso politico sproporzionato rispetto al suo reale valore e questo ha finito col nuocergli. Va ricordata una cosa. E cioè che fin qui le richieste economiche di Mertens sono state ovunque considerate fuori mercato. I 2,4 di ingaggio più 1,6 alla firma (che di fatto fanno 4 milioni di ingaggio, c’è poco da dire) più 800mila euro di commissioni per gli agenti, sono una cifra che oggi il calcio considera eccessive rispetto al reale valore del calciatore. In più a Napoli sarebbe un peso sia fuori dal campo sia in campo perché, come detto, obbliga a giocare in un determinato modo.
Tornando al titolo, sono i motivi per cui esistono anche tifosi del Napoli felici del suo addio. Certamente lo siamo al Napolista (anche se non tutti). Finalmente potremo vedere un Napoli nuovo, quel che desideriamo da tre anni. Se non quattro. Senza più Insigne né Mertens. C’è bisogno anche di calciatori che non abbiano l’imprinting della sconfitta. Che non abbiano interiorizzato il concetto che sul più bello vengono meno le forze e si perde. Abbiamo rispetto per chi si è innamorato di Mertens calciatore (ribadiamo, calciatore). Ma chi scrive rivendica il diritto all’esistenza anche di chi non si è innamorato. Il pensiero unico sta diventando un peso sempre più opprimente.
Come scriveva Martha Medeiros:
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno.
Ecco, noi sogniamo Osimhen e Kvaratskhelia trascinare il Napoli con la forza e l’esuberanza della loro gioventù e della loro passione, seguendo i consigli di Spalletti che ha diritto ad allenare senza condizionamenti. Col desiderio che Osimhen e Kvaratskhelia contaminino Napoli con un po’ di Georgia e un po’ di Nigeria. Senza assistere a quel processo di presunta napoletanizzazione che mette addosso tanta tanta tristezza.