Le polemiche lo rincorrono, da sempre. Lui gioca poco, ma segna sempre. Al Marsiglia neanche Drogba aveva segnato così tanto in così poco tempo
Mentre viene criticato a destra e a manca, Arkadiusz Milik continua a fare quello che gli riesce meglio: i gol. Al Marsiglia, in Francia, nel mezzo di un’esperienza che i più continuano a definire fallimentare, ha segnato ventitré gol nelle prime trentasette partite giocate. Uno in più di un fuoriclasse come Drogba che prima di lui deteneva il record assoluto. Un record che Arek ha battuto con una tripletta segnata nel pokerissimo che gli Olympiens di Jorge Sampaoli hanno riservato all’Angers nell’anticipo della ventitreesima giornata della Ligue 1. Una tripletta che gli permette di scrivere pure il suo nome nella storia gloriosa dell’OM: nessuno, per il club, aveva mai segnato “così tanto in così poco”.
E se il quanto è chiaro (tanto), il come rende ancor più nitidamente l’idea sul valore del calciatore. La tripletta di cui sopra è la riprova di un repertorio completo, ricco d’alternative: il primo dei tre gol è uno scavetto tutto classe e freddezza, a ingannare l’uscita inevitabile del portiere avversario che ha provato invano a chiudergli lo specchio della porta; il secondo un colpo di testa da opportunista, una rete che segna chi sa stare al posto giusto nel momento giusto; il terzo, invece, nasce da un movimento intelligente a tagliare l’area di rigore. Un movimento visto e servito precisamente dall’ex Roma Under: per Arek mettere il pallone dentro in scivolata, arrivando da dietro, è un gioco da ragazzi.
Ieri sera exploit #Marseille! 5-2 all’Angers da uno svantaggio di 0-2.
Protagonisti tutti ex “italiani”: #Milik, #Gerson e #Under sugli scudi.
Niente male… pic.twitter.com/RwAPQ8f0sK
— Balljunge (@aestimans) February 5, 2022
È l’ennesima conferma di quanto Milik sia un calciatore «di tante cose»: di classe e di sostanza, d’istinto e di precisione, di qualità e di opportunismo. Uno da gol difficili e pure da gol facili, “poco freddo” un corno. Freddi, piuttosto, sono i numeri: le medie sono le stesse del periodo napoletano, Milik fa un gol ogni 104 minuti, oltralpe così come in Italia.
Sono le stats di un calciatore forte, fortissimo. Che sì, fin qui ha faticato a diventare grande. È oggettivo. Purtroppo però non tutti possono diventare grandi. O ce l’hai nel destino o non ce l’hai ancora e forse devi aspettare ancora un po’. In Match Point, un film storico di Woody Allen, a un certo punto si dice che «la gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde». Quello che è mancato a Milik, finora, è un pizzico di fortuna. Non gli manca fame, come suggerirebbe il suo andamento talvolta altezzoso: è uno che viene dal niente e che s’è dovuto conquistare tutto, chi l’ha seguito lo sa. Il tema è che il punto di svolta della sua carriera – almeno a Napoli – s’è infranto due volte in un ginocchio che ha fatto crac e qualche altra volta sui guantoni di un portierone in grado d’inventarsi un riflesso fuori dal comune. Gli è successo più volte, almeno fin qui: la pallina ha colpito il nastro ed è finita col tornare indietro. Chissà come sarebbe andata se le cose fossero cambiate appena appena di qualche centimetro. Attenzione, però, perché la consolazione c’è: è la convinzione che chi vale, in fondo, prima o poi emerge.