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L’arbitro Serra trasformato in caso umano: l’intervista a Sky è tv del dolore

Domande e toni da “Storie maledette”, risposte da seduta psicanalitica. Milan-Spezia apre una nuova fase per l’Aia: Serra è un caso da La vita in diretta

L’arbitro Serra trasformato in caso umano: l’intervista a Sky è tv del dolore
Mg Milano 17/01/2022 - campionato di calcio serie A / Milan-Spezia / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Marco Serra-Ante Rebic-Rade Krunic-Olivier Giroud

La musica che cupa avvolge l’arbitro Serra mentre s’incammina verso l’intervista-verità con Sky. Il tono desaturato delle immagini, mentre quest’uomo a capo chino passeggia ancora vinto dal dolore, la coscienza al seguito come un trolley piombato. Si sistema su una seggiola da pentito di mafia, e finalmente parla. Parla di quella sera in cui fischia un fallo su Rebic con l’ansia interventista di chi era chiamato a condurre il Milan per 7 minuti di recupero alla ricerca del 2-1 allo Spezia. Confessa di aver “pregato” che quella palla rotolata fino a Messias non terminasse in gol il suo viaggio. Che quell’incubo non stesse davvero accadendo a lui. Come in una faticosa seduta psicanalitica Serra ha dei flash:

«Non vedo Messias che sta per tirare in porta. Ricordo di aver pensato “speriamo che non la butti dentro”»

«Mi ricordo di aver detto in auricolare “non ci credo”, quando il giocatore dello Spezia ha calciato in porta»

Sembra la tv del dolore che i contenitori generalisti del pomeriggio trasmettono da anni, cavalcando il voyerismo del gossip e del dramma, la prurigine di certe intimità svelate, lo “scandalo”. Invece è Sky Sport, e quello è solo un arbitro di Serie A che ha precocemente fischiato un fallo, senza concedere la regola del vantaggio. La tragedia successiva – il pianto, i giocatori del Milan che in processione lo consolano, l’Aia che prima si scusa e poi si scusa di essersi scusata – sono una sovrastruttura, un artefatto che vale più della sostanza stessa. Così nell’immediato post-partita, tanto nella rilettura ad un mese dal “fattaccio”.

È proprio così che ci torna su Sky, trattandola come una “storia maledetta” di Franca Leosini. Serra risponde, trasparente, puccioso così come l’avevamo lasciato a San Siro. Un peluche. Una storia che giustamente Sky capitalizza spezzettando “l’esclusiva” in tre tronconi, per aumentare l’hype. Serra si presta, perfettamente a suo agio nel ruolo di vittima, ma anche di carnefice redento. Le domande sono tagliate a puntino per scavare nel disagio della persona: “Hai dormito?”, “cosa ti ha fatto più male di questa vicenda?”, “qualcuno ti ha strappato un sorriso?”. Serra in pratica elabora un lutto, per copione.

«Passa Florenzi e addirittura mi abbraccia, poi passa Calabria, da capitano. Poi Theo e Diaz, anche loro a darmi una parola di conforto. Il succo era quello: mi invitavano a tirarmi su perché si sbaglia tutti. Ibrahimovic? La sostanza del suo intervento fu “ora dimostra di essere forte, reagisci”»

Tutta così. Un uomo denudato del fischietto, della compostezza altezzosa e antipatica che il ruolo impone. Trafitto dai sensi di colpa. Martire d’una sventura. Serra è il nuovo volto comunicativo della classe arbitrale: un avamposto sentimentale, un freccia d’empatia al cuore d’un sistema che non perdonava niente a nessuno. L’operazione Sky-Serra apre una nuova fase: dal silenzio stampa alla Vita in Diretta. 

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