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Morata non è diventato Morata perché tiene gli occhi belli

È vittima dello stesso destino di Milik al Napoli: non è Ronaldo (come Arek non era Higuain) e quindi è considerato scarso. Le cose sono più complicate di così

Morata non è diventato Morata perché tiene gli occhi belli
Londra (Inghilterra) 06/07/2021 - Euro 2020 / Italia-Spagna / foto Uefa/Image Sport nella foto: esultanza gol Alvaro Morata

Anche Alvaro Morata è diventato scarso. Vittima di quella irrefrenabile centrifuga ch’è diventata l’informazione sportiva, soprattutto in Italia. Quell’informazione che oscilla a ogni folata di vento dall’ipervalutazione di un professionista alla mortificazione umana prima ancora che sportiva.

Un’informazione che parte dall’idea (che ben conosciamo) che il curriculum sia una diminutio: il fatto che il centravanti della Nazionale spagnola – già, il centravanti della Nazionale spagnola – abbia vestito le prestigiosissime maglie del Real Madrid, del Chelsea, dell’Atletico e della Juventus è un punto a sfavore. «Ha sempre giocato coi campioni» (ammesso e non concesso che in questa Juventus, peraltro, ci siano tutti ‘sti campioni) e per questo non è buono. Un’associazione assolutamente illogica fatta passare per logica. Un assunto radicato nella convinzione che chi arriva ad ottenere dei successi, nella vita, sia soltanto fortunato. Il cattivissimo Pietro Savastano lo disse in una frase cult della prima stagione di Gomorra, di non essere diventato Pietro Savastano “perché teneva gli occhi belli”. Eppure continua ad esserci una certa difficoltà a trasporre questo banalissimo concetto nella vita vera e in particolare nello sport. C’è chi è sicurissimo del fatto che Morata abbia giocato – spesso con ruoli da protagonista – in tutte queste squadre (e nella Spagna) a causa degli occhi belli.

Evidentemente, però, così non è. Così diventa per colpa di quelle semplificazioni furiose che prima, forse, restavano al tavolino di un bar, e che invece oggi riescono a imporsi nella società con la dignità di dottrine meritevoli d’attenzione. La semplificazione è questa: Morata non è Ronaldo, alla Juve non c’è più Ronaldo, e dunque Morata è scarso. D’altronde è il nefasto destino toccato pure al povero Arek Milik a Napoli: non è Higuain e non è Cavani e quindi è ‘nu purpo. A nulla conta che i fatti (e i numeri) abbiano dimostrato e dimostrino tutt’altro.

Morata è uno caldo nelle partite che contano. Non è molto continuo, è vero. Ha clamorosi momenti di blackout. S’accende un po’ a intermittenza. Però di solito lo fa nei momenti giusti. Nella cavalcata Champions della Juve di Allegri che si fermò solo in finale fu un mattatore. Segnò agli ottavi, all’andata e al ritorno, al Borussia Dortmund. Poi segnò in semifinale, ancora sia all’andata che al ritorno, al Real Madrid. E poi segnò anche al Barcellona in finale, il gol della bandiera di una partita senza storia. La Champions poi l’ha vinta proprio tra le fila dei Blancos, stagione 2016/2017, senza lo stesso protagonismo: lo ricordiamo perché segnò proprio al San Paolo di Napoli negli ottavi di finale, oltre a due gol nei gironi. Ma quella era una squadra dove chiunque avrebbe avuto difficoltà a trovare un posto.

E poi la Spagna. Dove probabilmente vive la stessa contraddizione. Non è Fernando Torres. Ma, anche qui, è uno che un peso l’ha sempre avuto: in Nazionale Alvarito fa un gol ogni due partite. Non sono medie da buttare, tutt’altro. Agli Europei del 2020 ha segnato all’Italia quel gol che ha portato la sua Nazionale ai rigori. Un gol per niente banale, che diede concretezza ad un dominio piuttosto sterile degli spagnoli.

La verità, però, è che Morata va giudicato al di là dei gol. Che per un attaccante contano, e infatti lui li fa. La sua forza, però, è un’altra. Nell’epoca dove contano di più i punti al fantacalcio che l’attenzione verso il gioco dirlo sembra quasi un’assurdità, una roba da alieni. Eppure basta guardare la partita con la Roma per cogliere il punto. Ha sostituito Kean, un altro che pochi anni fa prendeva le prime pagine di tutti i quotidiani sportivi per tre gol a campionato finito e che adesso invece è diventato il più brocco di tutti. Morata ha messo piede in campo ed in dieci minuti ha svoltato la partita, entrando in quasi tutte le azioni dei gol della Juventus, tre. Mettendo in mostra un repertorio fatto di tecnica, intelligenza tattica, capacità innata di occupare con criterio gli spazi. Dopo quella partita, il tweetstorm contro di lui (che l’ha motivato a passare al Barcellona: non l’ha ancora fatto solo per Allegri) era finito. Era diventato di nuovo buono. Chiaramente, però, solo fino al prossimo gol sbagliato.

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