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Quanto rancore per Milik travolto da una narrazione distorta

Le statistiche sono state travolte dalla “nominata” che a Napoli lo accompagna. Trattato come un brocco, non gli è stato perdonato niente

Quanto rancore per Milik travolto da una narrazione distorta
Hermann / KontroLab

 

“A Marsiglia vivo meglio, Napoli dopo un po’ ti stanca! Qui posso uscire in tranquillità”.

Hanno fatto discutere le parole di Arek Milik ad una radio polacca.

Hanno fatto discutere pure dopo l’affettuosa smentita dell’ex centravanti partenopeo che ha puntualizzato, con una storia su Instagram, accompagnata dalle toccanti e inconfondibili note di Napul’è, che le sue parole erano state tradotte male e che certi sentimenti non hanno bisogno di Google translate.

E però, ben al di là dell’intervento correttivo di Milik, sarebbe interessante (dal punto di vista giornalistico, e, perché no, antropologico) interrogarsi su quel che l’intervista ha scatenato, e sul motivo per cui una grossa fetta dei tifosi del Napoli covi tuttora nei  confronti del ragazzo un certo rancore. I social dell’ex 99 sono stati letteralmente invasi da commenti dai toni decisamente ineducati, oltre che eccessivi. E questo volendo stendere semplicemente un pietosissimo velo sulle esultanze vergognose che hanno seguito la notizia di un infortunio che ha rischiato di compromettergli la partecipazione all’Europeo.

Quello che c’è da dire è che in realtà Milik non sarebbe stato il primo (e verosimilmente neanche l’ultimo) a dire che a Napoli un calciatore non vive sempre poi così sereno. Lavezzi, il calciatore forse più amato dell’era De Laurentiis, ha più volte (anche recentemente a Sky) dichiarato di aver lasciato Napoli per il bisogno di respirare, di poter camminare col figlio per strada. Perfino Maradona (ma a scomodare gli dèi ci si sente sempre un po’ inopportuni) era determinato, nell’estate del 1989, a lasciare Napoli proprio per Marsiglia e proprio per gli stessi motivi. Lo racconta lui stesso nel docufilm di Kapadia, spaccato spettacolare sugli anni a Napoli del Diego, e lo fa con queste parole: “Con il Napoli avevo già realizzato tutto, non avevo altro da fare: avevo reso felici le persone, rappresentavo il Sud…. Volevo chiudere la carriera in un posto più tranquillo”.

Verrebbe dunque da escludere che sia l’addio – o che siano queste dichiarazioni in sé – ad aver alimentato sentimenti così contrastanti verso Milik.

La verità è che queste dichiarazioni hanno fatto discutere come ha fatto discutere, ed ha profondamente diviso, tutta l’esperienza di Arek in azzurro.

Un’esperienza che, se osservata con la lente dei numeri, che spesso raccontano la realtà, non può che essere considerata estremamente positiva: con un gol ogni 139 minuti, di fatti, considerando tutte le competizioni, non potrebbe essere che così.

Tanti gol, insomma, e spesso non banali (il diamante durante i primi minuti di un Roma-Napoli 1-4 della stagione 18/19 brilla ancora), e soprattutto tante alternative: Milik è un centravanti di manovra particolarmente tecnico, che sa venire dentro al campo, che attacca discretamente gli spazi e che sa essere letale quando riesce a liberare un sinistro chirurgico come pochi. Bravo pure di testa e sui calci di punizione. E freddo rigorista. Caratteristiche importanti che gli sono valse, peraltro, un datato interessamento da parte degli operatori di mercato della Juventus.

Tanti gol e tante alternative, dunque, nonostante – a causa dei due infortuni terribili che hanno inevitabilmente compromesso il suo rendimento nelle stagioni agli ordini di Sarri – abbia trovato veramente continuità solo con Ancelotti nella prima stagione del tecnico di Reggiolo all’ombra del Vesuvio, stagione in cui per l’appunto ha messo a segno venti reti.

Venti gol che nonostante le parole dello stesso Ancelotti (“Milik? Numeri impressionanti. Almeno così l’anno prossimo non ci chiedono l’attaccante…”) non sono bastati a convincere del tutto la piazza, forse ancora orfana delle straordinarie eccezioni rappresentate da Higuaìn e Cavani ed eternamente ed incondizionatamente grata ad un Dries Mertens in fase – purtroppo – calante.

Ma soprattutto non sono valsi la fiducia della società che, ben prima di prendere Osimhen e relegare il polacco fuori rosa a causa di un contratto in scadenza (trattamento riservato a lui e non a Hysaj e Maksimovic, ma vabbè), ha cercato pure quella estate di sostituirlo, in una commovente e a tratti degradante rincorsa ai dolori del giovane Mauro e di sua moglie Wanda.

Poca fiducia da tutto l’ambiente e poca centralità nel progetto, insomma. Abbastanza inspiegabilmente. Ma quando a Napoli ti fai una “nominata” poi è complicato scrollartela di dosso. Chiedere a quel chiattone impreparato di Rafa Benitez per credere. Per scrollarsi la nominata lo stesso Higuain ha dovuto fare una cosa che non era riuscita a nessun altro nella storia: trentasei gol in campionato.

Milik ha convissuto, suo malgrado, con diverse nominate: non fa gol decisivi (come se i gol spettacolari segnati a Bergamo e a Cagliari non portassero sei punti), divora troppe palle gol (nonostante fosse, lo scorso campionato, il calciatore a segnare di più al primo tiro verso la porta avversaria), è molle.

E così è andato, pure Milik. Come un patrimonio di buone intenzioni non pienamente valorizzate. Pure con un portato di polemiche non indifferente, che ancora fanno rumore.

E probabilmente col destino di esplodere definitivamente (e vincere) da un’altra parte.

Come è già successo con Zapata e non solo.

E dato che si sentono già i primi sussurri, la speranza è che non ci tocchi lo stesso ritornello pure con Victor Osimhen.

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