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L’ammuina politica del clan Djokovic: il campione «torturato» manda alla guerra mamma, papà, fratelli, pure gli zii

L’imbarazzante conferenza stampa della famiglia: tutti a strepitare di “diritti umani negati” senza pudore. A questi livelli di professionismo è un inedito

L’ammuina politica del clan Djokovic: il campione «torturato» manda alla guerra mamma, papà, fratelli, pure gli zii

Quando papà Djokovic ha lasciato intendere che il figlio avrebbe partecipato alla conferenza stampa di famiglia collegando Melbourne a Belgrado a molti è passata come una suggestione. Il povero tennista numero uno al mondo che da una caverna dettava al mondo parole di riappacificazione: “L’Australia è un posto meraviglioso. Mi trattano bene, fate quello che vi dicono e tutto andrà per il meglio”. E comunque l’adescamento non aveva proprio convinto tutti: chi pratica papà Djokovic sa che l’uomo ama l’iperbole più che la credibilità. E infatti mentre l’intera famiglia Djokovic imbastiva il teatrino in Serbia, lui, Nole si riproduceva sui social alla Rod Lever Arena, fresco di visto e d’allenamento: un tweet asettico e conciliante e passa la paura. Tanto quella andava in onda a rete unificata dalla sponda europea, con il lessico famigliare che Novak un po’ usa ma molto detesta.

Parlano, in ordine sparso: papà, mamma, un fratello e pure uno zio. Che è una formazione inedita a questo livello di rivendicazione professionale. Djokovic non è un preadolescente ignorante capace a stento di intendere e volere; è una leggenda dello sport. Una volta si sarebbe detto “adulto e vaccinato” ma vabbé. Perché il clan sente l’esigenza di imporre la propria asfissiante presenza su una questione diplomatica così delicata? Possibile che nessuno riesca a placarne l’urgenza comunicativa? Il risultato è imbarazzante.

In questo momento tutte le prime pagine online dei principali media del mondo sono trafitte da dichiarazioni di questa portata:

Mio figlio è stato torturato

“Mio figlio lotta per la giustizia e lo Stato di diritto”

“Hanno privato mio figlio dei diritti umani”

Novak è stato crocifisso come Gesù Cristo

Con sobrietà quasi sabauda i parenti del miglior tennista del mondo, uomo fatto di anni 34, buttano tutto in caciara appena possibile. Incrociando lamenti e tramestii ad ogni microfono puntato. Dicendo cose sempre esagerate, spesso sbagliate, perlomeno ridicole. Accreditandosi come fonti perpetue di fake news. Oggi, con la sentenza di “assoluzione” ancora calda, il fratello urlava ai quattro social che Novak era stato di nuovo arrestato, che gli australiani volevano “deportarlo”. Mentre lui stava per lasciare gli uffici dei suoi legali scortato dalla polizia, per andare ad allenarsi.

Ripetiamo: il fratello ok, ma poi anche l’altro. E il papà, e la mamma. Ma lo zio? Che c’entra lo zio in questa teatrale rissa mediatica? S’è imbucato, lo zio?

Ovviamente, portato a casa lo sproloquio vittimistico, alla prima domanda vera la conferenza stampa è stata troncata di netto: “Che ci faceva libero e scorrazzante senza mascherina Djokovic mentre era positivo?”. Risposta: “La conferenza è finita”, andate in pace. Si sono alzati, si sono abbracciati, e hanno preso a cantare. Davvero: qui c’è il video.

S’avverte, al netto della fuffa spropositata e dell’assoluto sprezzo per un minimo di continenza (come fai a parlare di diritti umani violati, se nello stesso albergo dove tenevano tuo figlio c’è gente imprigionata da mesi e anni in condizioni pietose?), il gonfiore della battaglia politica fine a se stessa. Di una lotta che riguarda tutto un mondo deteriore – i no-vax, e l’inflazionato universo del complottismo da riporto – ma anche riaffermazione di una centralità nazionalista, provincialissima, che i Djokovic tradiscono con sempre più orgoglio. Ribaltando del tutto il concetto di “esempio”, cui pure ambirebbero. Esempi sì, ma di cosa?

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