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Gioele Dix: «Quando i tuoi genitori se ne vanno lasciano un buco incolmabile. Resti figlio per sempre» 

Al CorSera: «Tomba? Si lamentò del mio personaggio. Disse che la parola ‘gnocca’ non la usava, ma sull’asfalto fuori casa sua trovai scritto “Viva la gnocca”»

Gioele Dix: «Quando i tuoi genitori se ne vanno lasciano un buco incolmabile. Resti figlio per sempre» 

Il Corriere della Sera intervista David Ottolenghi, in arte Gioele Dix. Attore, cabarettista, regista teatrale e scrittore, ha vissuto la svolta della sua carriera come comico solista a Zelig. Lì scelse il suo nome d’arte. Ha guadagnato la popolarità con il personaggio dell’automobilista incazzato. Uno dei suoi più celebri personaggi è anche quello di Alberto Tomba. Racconta il suo rapporto con i genitori: il padre avvocato e la madre casalinga.

«I miei sono scomparsi tre anni fa, quasi insieme: mia madre se n’è andata il 2 aprile, mio padre il 22. Si erano sposati l’11 aprile. Ho pensato spesso a quella coincidenza: 22 diviso 2 fa undici. Quando se ne vanno, i tuoi genitori lasciano un buco incolmabile. Gli altri ti dicono “vedrai, ti parleranno, li ritroverai…”. Balle. Poi un giorno capisci che li ha dentro, e prima non li trovavi perché li cercavi fuori. Da lì non se ne andranno più. Resti figlio per sempre».

Sulla scelta del nome d’arte:

«Gioele per rendere omaggio al mondo biblico che mi appartiene. Mi piaceva l’idea del profeta, quello delle cavallette. Ai tempi non era molto usato, tant’è che anni dopo mi intervistarono perché c’era stato un incremento significativo dei bambini con il mio nome. Mi capita ancora che vengano in camerino genitori che mostrano orgogliosi i loro piccolo Gioelini. Dix perché a scuola tutti storpiavano il mio cognome, Ottolenghi. Poi un giorno un prof di disegno cominciò a chiamarmi “Ottodix”, dal pittore tedesco di cui ho apprezzato l’impegno artistico e politico».

Dell’«automobilista incazzato», dice:

«Crearlo è stato la mia rinascita: è mio figlio».

L’intuizione gli venne in auto, mentre guidava («ero io, e potevano essere tutti»). E racconta:

«Di quel personaggio ne vado orgoglioso. Certo, non puoi campare solo su un colpo di genio. Ma mi capita ancora che magari al teatro dopo aver fatto Molière venga uno in camerino per chiedermi la foto con gli occhiali da sole. Io lo accontento: imparai da Gino Bramieri a essere disponibilissimo con tutti. Lui raccontava anche le barzellette, se gliele chiedevano».

Un altro suo cavallo di battaglia è Alberto Tomba. Come la prese lo sciatore?

«All’inizio non bene: si lamentò perché lui la parola “gnocca” non la usava. Poi andai a trovarlo a casa sua per l’ultima puntata di Mai dire Gol, sulle colline bolognesi, e sull’asfalto vicino all’ingresso trovai scritto in vernice bianca: “Viva la gnocca”. Allora protestai: “Ma come?”. E lui: “Bravo, l’han scritto dopo che l’hai detto te, mica prima!”».

Il pubblico più difficile? I bambini.

«Quello dei bambini, con i quali mi sono allenato parecchio da giovane: è un attimo perdere la loro attenzione. Ma il loro applauso è anche il più bello, perché è uno strepitio, è pioggia che cade sul tetto».

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