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Se Insigne fosse nato a Copenaghen

L’economia di mercato è fin qui stata chiarissima ma il tormentone prosegue e proseguirà esclusivamente per ragioni geografiche

Se Insigne fosse nato a Copenaghen
Bologna 04/06/2021 - amichevole / Italia-Repubblica Ceca / foto Image Sport nella foto: Lorenzo Insigne

Il titolo perfetto per la vicenda Insigne sarebbe: ciascuno ha il tormentone che si merita. È da circa due anni che va avanti questa litania sul rinnovo di Insigne. Litania che resiste per motivi che vanno al di là dell’economia di mercato. Fin qui, le curve della domanda e dell’offerta sono state impietose: per Insigne non c’è stata alcuna richiesta autorevole. Qualche pour-parler, nulla di più. A un livello medio-alto il capitano del Napoli sembra non avere mercato. Al punto che da settimane si discute di una sola offerta remunerativamente degna di questo nome: quella del Toronto che gioca nella Lega americana. Senza offesa, calcio di Serie B. Dove si approda quando ci si considera a fine carriera e giustamente i calciatori scelgono di intascare stipendi faraonici. È quel che accadeva negli anni Settanta con i Cosmos che ingaggiarono Pelè, Beckenbauer, Chinaglia.

Aggiungiamo un altro dettaglio analitico. A giugno, Insigne compirà 31 anni. A 31 anni, non ha mai giocato un quarto di finale di Champions League manifestazione in cui ha segnato 12 gol. Non ha mai vinto un titolo degno di questo nome. Ha sì collezionato 53 presenze in Nazionale, segnando 10 reti: uno in più di Totti (dettaglio su cui torneremo). Ha vinto l’Europeo torneo in cui Mancini gli ha assegnato un ruolo centrale. È innegabile. Ha segnato un bel gol al Belgio. In semifinale e in finale non ha lasciato il segno. Ma ha vinto.

Un curriculum tutto sommato buono, discreto. Nulla che faccia balzare dalla scrivania.

E allora perché si parla ossessivamente di Insigne e del suo rinnovo? Perché Insigne gioca nel Napoli ed è nato a Napoli. In provincia ma cambia poco. Perché è calcisticamente cresciuto nel Napoli. È un calciatore a chilometro zero. Piacerebbe a Latouche se a Latouche piacesse il calcio, non lo sappiamo. È la variante Napoli ad alimentare una notizia che altrimenti non esisterebbe.

Perché Insigne in Serie A ha sempre e solo giocato con il Napoli. Dieci stagioni di fila. Diciamo come se fosse Juliano. E con il Napoli ha numeri ragguardevoli. È il quarto calciatore per numero di presenze e per gol segnati. Graduatoria, quest’ultima, in cui è a una rete da Maradona. In questo caso, lasciateci dire, la statistica ci ricorda la celebre massima di Trilussa: “è quella scienza per cui se tu mangi un pollo intero e io digiuno, abbiamo mangiato mezzo pollo a testa”.

E si torna a Napoli. Il luogo di nascita fa sì che la discussione su Insigne non prenda in considerazione l’economia di mercato. Accade spesso con i calciatori indigeni. Accadde persino con Paolo Cannavaro il cui valore calcistico è decisamente inferiore a quello di Insigne.

Insigne il capitano. Insigne la bandiera. E potremmo continuare per ore. Insigne come Totti. E qui ci permettiamo di dissentire. Fatta eccezione per il rendimento in Nazionale, non c’è paragone tra il rapporto tra Totti e la Roma e quello di Insigne e il Napoli. Totti è stato la Roma. Insigne non è stato il Napoli. Non osiamo immaginare quanti spettatori farebbe la festa di addio al calcio di Insigne allo stadio di Fuorigrotta. Pochi, decisamente pochi. E non affrontiamo la discussione sul valore del calciatore. Però ne approfittiamo per ricordare che Totti sfruttò al volo l’intuizione del suo allenatore – Spalletti – di cambiargli ruolo. Lo trasformò in centravanti e lui, che a pallone giocava discretamente, i gol li segnava eccome. Quando Insigne ha incontrato un allenatore – Ancelotti – che voleva avvicinarlo alla porta e magari regalargli una seconda parte diversa di carriera, si è impuntato, ha scosso la testa e non è tornato felice finché non gli hanno restituito la sua zolla preferita. I suoi estimatori dicono che in quella posizione ha giocato un anno e mezzo splendido; sarà, ma il Napoli è rimasto due volte di fila fuori dalla Champions.

Aggiungiamo un altro tema. Prima di avere l’attuale procuratore, Insigne si affidò a Mino Raiola uno che il mondo lo conosce, ama guadagnare e quindi detesta perdere tempo. Un signore che ha piazzato Balotelli per dieci anni in giro per il mondo, non dobbiamo aggiungere altro. Ebbene nemmeno lui ci è riuscito con Insigne.

Non è il caso di porsi qualche domanda? Non sarebbe più facile se si prendesse in considerazione la suggestione che Insigne fosse di Copenaghen e non di Napoli? Un calciatore, come qualsiasi lavoratore, va valutato per quel che produce nel suo lavoro e in base alla aspettativa che crea la sua presenza in un determinato luogo di lavoro. Che poi sia nato a Napoli, o a Foggia, o a Istanbul, è del tutto irrilevante. E in questo caso anche fuorviante.

Insigne è un buon calciatore, per alcuni ottimo, che ha 31 anni, che ha un curriculum tutto sommato irrilevante ad alto livello. E che finora, a quanto pare, ha ricevuto una sola vera offerta dal Toronto che milita nel campionato statunitense. Tutto qua. Nella scheda di un calciatore, in un ipotetico ufficio di collocamento, forse il luogo di nascita non è nemmeno indicato.

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