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Valverde: «Fotografo i tifosi che esultano, di solito i protagonisti siamo noi, volevo offrire una prospettiva diversa»

L’ex tecnico del Barcellona è appassionato di fotografia. A Bilbao una sua mostra: «Fare l’allenatore mi offre un punto di vista unico, cerco immagini che generino inquietudine e tensione»

Valverde: «Fotografo i tifosi che esultano, di solito i protagonisti siamo noi, volevo offrire una prospettiva diversa»
As Roma 10/04/2018 - Champions League / Roma-Barcellona / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Ernesto Valverde

Sportweek intervista Ernesto Valverde, fino al gennaio 2020 allenatore del Barcellona. Appassionato da sempre di fotografia (con anche due libri all’attivo sul tema), espone le sue foto a Bilbao, in una mostra intitolata “L’altro lato”: 24 scatti che ritraggono in bianco e nero i tifosi dal suo punto di vista.

«Ho iniziato fotografando ciò che avevo più vicino, ed è ancora così oggi. Ognuno ha la propria maniera di vedere le cose. Nel caso delle foto di questa esposizione che ritraggono i fans tifando, gridando e partecipando a una scena unica perché prende vita in quel preciso momento, volevo offrire una prospettiva diversa. Generalmente siamo noi ad essere fotografati, calciatori e allenatori, siamo noi i protagonisti di una messa in scena assai comune, quasi standardizzata. Abbiamo ruoli fissi, assegnati: agli uni tocca stare da una parte, agli altri dall’altra. E invece potrebbe essere il contrario».

Che cosa cerca nei tifosi?

«Niente. Cerco situazioni che io credo possano essere interpretate in modo universale, indipendentemente dal fatto che le persone fotografate siano tifosi di calcio, appassionati di musica o che partecipino a un comizio politico».

Racconta cosa cerca nelle immagini che scatta:

«Cerco di far sì che le immagini generino una certa inquietudine, rifuggo dalla fotografia illustrativa o compiacente. Non avevo alcuna intenzione né mi interessava che questa mostra fosse vista come un omaggio alle tifoserie o roba simile. Preferisco che le immagini creino una certa tensione in chi le guarda, facendo pensare all’osservatore che chiunque di noi potrebbe apparire in uno degli scatti».

Lo spogliatoio è sacro?

«Si. È una cosa antica che ho sempre amato rispettare. Ora si producono tantissimi documentari per mostrare le squadre dal di dentro, però non si mostra tutto. Sono focalizzati e diretti al grande consumo, alla generazione di grandi benefici economici per i club e al piacere dei tifosi, e quasi tutti sono fatti in modo standard, per cercare di piacere».

Racconta che quando era all’Olympiacos ha chiesto ad un suo giocatore di fargli un ritratto fotografico. I dirigenti e i calciatori non gli hanno mai detto nulla di questa sua passione.

«No, mai. Non mi hanno mai detto nulla. Però è anche vero che io sono stato sempre molto discreto con la macchina. Nessuno sapeva che me la portavo dietro e ovviamente la cosa non ha mai interferito nel mio lavoro. La partita è sempre stata prioritaria. E per questo ho fatto molte meno foto di quanto avrei voluto. Ho perso tantissimi grandi momenti fotografabili».

Sugli stadi senza pubblico durante la pandemia:

«Come allenatore le posso dire che ci sono state cose positive. Ho sentito tanta gente lamentarsi per il fatto di giocare senza tifosi, però gli arbitri hanno fischiato con maggiore libertà e gli allenatori e i giocatori vivevano più tranquilli, nessuno li fischiava».

 

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