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Il Napoli sta diventando una squadra verticale

L’importanza fondamentale di Osimhen verso la transizione definitiva. È proprio sul Napoli senza Osimhen che Spalletti dovrà lavorare

Il Napoli sta diventando una squadra verticale

Modulo e principi di gioco

Napoli-Legia Varsavia 3-0 potrebbe diventare una partita importante per la storia della squadra azzurra. E non solo per quanto riguarda l’avventura in Europa League, l’esito di questa stagione. Nel corso della gara vinta contro la squadra campione di Polonia, nonché capolista del Gruppo C della seconda coppa eurooea, Spalletti ha visto e ci ha fatto vedere alcune cose molto significative sulla situazione attuale e sulle prospettive tattiche del Napoli. Alcune sono positive, altre potrebbero diventarlo. Ma andiamo con ordine.

Prima della partita, Spalletti non ha voluto sentir parlare di turn over, bensì di «altri giocatori titolari» scelti per affrontare il Legia. Ovviamente sapeva anche lui di mentire, perché oggi è impossibile pensare a un Napoli che rinunci volutamente a Fabián Ruiz e soprattutto a Victor Osimhen. Solo che però il calendario asfittico del calcio contemporaneo impone certe rotazioni, certe partite-ponte. E allora Spalletti si è presentato con l’ormai consolidato 4-3-3/4-5-1 che, in fase attiva, tendeva a diventare anche 4-2-3-1 con Elmas nello slot di sottopunta. Il macedone, però, è rimasto fedele alle sue caratteristiche: piuttosto che offrire uno scarico frequente al centro, si è mosso in ogni direzione per cercare di facilitare il possesso dei compagni.

In alto, il 4-2-3-1 del Napoli in fase di impostazione; sopra, tutti i palloni giocati da Elmas nel primo tempo: praticamente un uomo-ovunque.

Il Napoli, quindi, ha optato per le stesse spaziature utilizzate finora in campionato. Partendo da qui, si potrebbe dedurre che la squadra azzurra abbia giocato una partita simile a quelle contro Torino, Fiorentina, Cagliari e tutte le altre squadre che ha affrontato – e battuto – in Serie A. Ma non è così. Nel calcio contemporaneo, infatti, l’analisi tattica che parte dai soli moduli è inevitabilmente incompleta: sono i principi di gioco a fare la differenza, e questi principi vengono scelti da tutti gli allenatori – anche da quelli che sembrano più ideologizzati – in base ai giocatori a disposizione, più che alle loro preferenze. Per dirla facilmente: pur restando nell’ambito del 4-3-3 fluido che Spalletti ha impostato fin dall’inizio della stagione, che senso avrebbe avuto far giocare Mertens, Demme, Lozano – ma anche Juan Jesus, Manolas, ecc. – come se in campo ci fossero Osimhen, Fabián Ruiz e tutti gli altri?

Ovviamente è una domanda retorica. E, altrettanto ovviamente, Spalletti non ha giocato allo stesso modo. Nel primo tempo contro il Legia Varsavia, infatti, il Napoli ha riproposto un calcio di possesso, molto sbilanciato dalla parte di Insigne (il giocatore azzurro che ha toccato più palloni nella prima frazione di gioco, ben 54) e ha abiurato i lanci lunghi (solo 10 su 324 passaggi totali); per forzare il dispositivo difensivo avversario, ha provato a utilizzare combinazioni basse e veloci, il solito cambio di gioco di Insigne, ma anche i duelli in isolamento di Lozano sulla destra. Tutte soluzioni che hanno funzionato, ma a intermittenza. O meglio: i tiri in porta non sono stati poi così tanti (3), anche se in realtà sono stati tutti piuttosto pericolosi; poi c’è stata la bella conclusione di Mertens al volo su sponda di Lozano, al termine di un’azione ben orchestrata partita dal solito lancio da sinistra di Insigne.

Un’ottima accelerazione del gioco di possesso

Il Napoli scelto da Spalletti per affrontare il Legia non poteva fare altro che giocare in questo modo. A sua volta, la stessa squadra polacca ha forzato il contesto, con scelte tattiche – a dir poco – conservative: difesa a cinque in fase di non possesso; nessun tipo di pressing sulla costruzione dal basso del Napoli; possesso di palla elementare per non dire scarso (dato grezzo del 29% a fine gara); il lancio in verticale come unica strategia offensiva. Riguardo quest’ultimo punto, i dati sono a dir poco eloquenti: a fine partita, risulta che il Legia abbia effettuato 52 passaggi lunghi (più del doppio di quelli del Napoli, 25) su 256 passaggi in totale. In pratica, prima di buttare il pallone in avanti la squadra polacca, in media, ha fatto meno di 5 scambi.

Le posizioni medie dei giocatori del Legia

Rispetto al 4-3-3 “istituzionale” che abbiamo imparato ad apprezzare e poi anche un po’ a odiare per overdose negli ultimi anni, il Napoli di Spalletti ha mostrato in ogni caso alcune variazioni. Allo sbilanciamento del gioco sulla sinistra, infatti, ha contribuito anche Dries Mertens: il belga ha fatto i suoi soliti movimenti da attaccante associativo, accorciando i reparti e offrendosi come sponda per le combinazioni rasoterra, ma in diverse occasioni si è scambiato il ruolo con Insigne – che ha disputato alcune partite nello slot di punta centrale del 4-3-3, sia a Genova con il Napoli che con la Nazionale. In questo modo, pur costruendo il gioco soprattutto a sinistra, il Napoli è riuscito a sfruttare anche l’altra corsia: non a caso, secondo le rilevazioni di Whoscored, la squadra di Spalletti ha attaccato sulla fascia destra per il 41% delle sue manovre.

Nell’immagine in alto, tutti i palloni giocati da Mertens nel primo tempo; in basso, quelli di Insigne. Si vede chiaramente che entrambi hanno rispettato i loro “ruoli storici”, ma è evidente che c’è stato anche qualche scambio di posizione nel corso della prima frazione di gioco.

I primi cambiamenti

Pur vincendo nettamente la partita tattica, resta il fatto che il Napoli non è riuscito a segnare. A perforare il bunker del Legia. Come abbiamo visto, in alcuni momenti le accelerazioni e gli scambi veloci hanno creato dei varchi, ma a un certo punto è stato evidente un fatto: questa squadra, ormai parla un’altra lingua. Ovvero, inevitabilmente, la lingua di Victor Osimhen. E infatti Spalletti ha deciso di inserire il centravanti nigeriano al 57esimo minuto, insieme a Fabián Ruiz. In questo modo ha disegnato sul campo un 4-2-3-1 iperoffensivo con Mertens, Insigne ed Elmas alle spalle dell’ex Lille. Sorprendentemente, però, le posizioni del tridente di trequartisti erano a dir poco fluide, se non proprio intercambiabili.

In questa azione, Elmas è a sinistra, Insigne è sottopunta mentre Mertens è addirittura schierato come esterno destro.

Perché abbiamo pensato e scritto che il Napoli si sia ormai abituato a parlare la lingua di Osimhen? Basta andare al minuto numero 60 per rendersene conto: l’azione del Napoli parte dal basso, ma poi Osimhen detta il lancio lungo con il suo classico movimento ad attaccare la profondità; Demme asseconda subito il centravanti nigeriano e lo serve sul lungo, così che possa duellare nel contesto a lui più congeniale; Osimhen scivola e perde qualche metro rispetto al suo marcatore, eppure riesce a recuperare aderenza e fa suo il pallone, costringendo la difesa avversaria a rinculare velocemente all’indietro; a quel punto, smista il pallone verso Insigne, che inizia a duettare con Elmas e Fabián Ruiz. Pochi istanti dopo, lo stesso Insigne trova un meraviglioso cross sul secondo palo per l’accorrente Di Lorenzo: sponda al centro, Mertens arriva con un decimo di secondo di ritardo e mette fuori.

Tutto nasce da una verticalizzazione – e dalla furia di Osimhen

Ecco, questa è un’azione che anticipa e spiega il futuro del Napoli. Che ne disegna il futuro – il concetto che esprimevamo all’inizio dell’analisi. Perché qui Osimhen non partecipa direttamente alla creazione o alla finalizzazione della vera occasione da gol, ma il suo movimento iniziale ha determinato il collasso del sistema difensivo del Legia, o comunque ha creato una falla. Quel rientro collettivo per accorciare sul centravanti nigeriano costa fatica e quindi lucidità a tutti i difensori. Osimhen, quindi, non sarà stato decisivo nel senso canonico del termine, ha fatto in modo che i suoi avversari spendessero qualcosa, quindi provassero un disagio. Gli sono bastati tre minuti in campo per farlo, e pensate a quando lo fa per tutta una partita.

Ecco perché il Napoli parla la lingua di Osimhen: la forza – anzi: il dominio – del centravanti nigeriano è tale che i suoi compagni sono tutti proiettati a servirlo, ad armarlo. Perché possa segnare, ma anche solo perché possa rompere le scatole – letteralmente – alla difesa avversaria. Così, poi, da averne vantaggio nella azione successiva, e poi in quella dopo ancora, e poi ancora, e ancora.

La transizione definitiva, finalmente

Certo, ci saranno altre partite come Napoli-Legia in cui Osimhen non potrà iniziare da titolare, quindi è necessario – ecco il grande cavallo di battaglia dell’autore di questa rubrica – che Spalletti abitui la sua squadra a giocare anche un altro tipo di calcio, a essere efficace anche con uno stile differente – quello visto nel primo tempo, per esempio. Del resto il Napoli manca di un’alternativa reale a Osimhen, di un centravanti che possa prenderne il posto e sappia giocare come lui – intendiamo come caratteristiche, perché come forza e qualità ce ne sono pochi al mondo, e di certo non verrebbero a Napoli per essere e fare la riserva.

Il punto, però, è che questo cambiamento ancora in atto, questa trasformazione nel nome di Osimhen e quindi di un gioco diverso, ha incrinato i cardini, le tare che gli azzurri si trascinavano indietro da anni. Oggi il Napoli è una squadra che sta vivendo la sua transizione definitiva a una nuova era. Che sa, preferisce e quindi vuole essere verticale. È una squadra in cui Mertens può – deve– essere centravanti d’emergenza, ma solo d’emergenza, perché è (molto) più utile come sottopunta o come esterno dietro a Osimhen. È una squadra per cui il possesso palla sincopato per risalire il campo non è più l’unica opzione esistente. Questo primato non c’è più. C’è, o meglio deve esserci convivenza di stili perché la rosa è profonda ma ibrida, e allora è necessario padroneggiare diversi strumenti per segnare. Ma il meglio viene espresso con un calcio diverso rispetto al passato. Negli uomini, nelle loro posizioni, nei principi di gioco.

I cambiamenti decisivi

Il gol di Insigne, in questo senso, è pieno di segnali confermativi della nostra teoria. Poco prima, infatti, Spalletti ha rivoluzionato – un’altra volta – la sua squadra inserendo Politano e Petagna per l’infortunato Manolas e per Mertens. Da quel momento in poi, il Napoli si è schierato con una sorta di 3-4-3 asimmetrico, con Di Lorenzo-Koulibaly-Juan Jesus in difesa, Politano ed Elmas esterni a tutta fascia, Fabián e Demme davanti alla difesa e Insigne a supporto di Petagna e Osimhen.

Insigne sta per segnare, ma guardate quanto sono importanti Osimhen e Petagna che schiacciano i centrali avversari in area; c’è anche Demme a supporto, e così Insigne è liberissimo da marcature e può concludere senza opposizione.

Con questo sistema, si vede chiaramente nello screen appena sopra, Spalletti ha messo un altro uomo in area e così ha determinato un uno contro uno puro sugli esterni, soprattutto dal lato di Politano – appena entrato e più fresco di Elmas. Proprio dai piedi dell’ex Inter e Sassuolo è nato l’assist che ha armato Insigne. Non a caso, viene da dire, il capitano del Napoli è stato decisivo partendo da una posizione diversa, più spostata al centro se non addirittura sulla destra. E ha trovato il gol con un tiro non ragionato, scagliato senza paura, di pura potenza. Una giocata un po’ estranea al suo solito repertorio – e forse neanche questo è un caso.

Il gol è così bello che merita la riproposizione

Gioco verticale con e per Osimhen. Cambi di modulo e di posizionamenti. Insigne che lascia la sua comfort zone e trova uno dei gol più belli da quando gioca nel Napoli. Il quadro è completo se ci aggiungiamo il bellissimo duetto tra il capitano e Osimhen in occasione del gol del 2-0, al termine di un’altra azione per direttissima in cui Osimhen fa a spallate coi difensori, sembra muoversi in maniera confusa e disordinata ma in realtà il suo calcio è proprio quello, è proprio così, ed è devastante. Devastante come la corsa verso la porta avversaria, che il portiere non riesce a contenere già solo mentalmente, infatti lascia sguarnito il primo palo. La partita tattica finisce qui, Spalletti inserisce Rrahmani e torna al 4-2-3-1 puro e Politano trova pure il terzo gol. Che potrebbe tornare molto utile per la differenza reti, per centrare la qualificazione.

Un ciclone

Conclusioni

Napoli-Legia 3-0, per dirla in poche parole, ha chiarito – una volta di più, per chi ne avesse ancora bisogno – che la squadra di Spalletti ha una nuova forma, una nuova anima. O meglio: esprime il meglio con un certo tipo di calcio, e allora quello deve essere il riferimento. Per tutti, anche per chi – come Mertens e Insigne, per esempio – forse tende a preferire un altro stile di gioco. In realtà queste prime undici partite stagionali hanno dimostrato che tutti possono essere utili, anzi esaltarsi, anche in un contesto del genere. Il gol di Insigne di questa sera, l’ingresso decisivo di Mertens con il Torino, la crescita della gran parte dei giocatori in rosa: ecco, questi sono tutti segnali di un cambiamento positivo. E che va perseguito, portato avanti, perché potrà essere positivo per tutti.

Paradossalmente, però, il lavoro più importante che attende Spalletti è quello sulle alternative. Per dirla in maniera brutale: su un Napoli senza Osimhen. Dovrà rendere questa squadra-bis più rapida e pungente in attacco, e magari in questo senso il ritorno di Mertens a una condizione accettabile potrebbe aiutarlo molto. Questa flessibilità ideologica è mancata molto nelle ultime due stagioni, e deve essere coltivata col tempo, col lavoro quotidiano. La flessibilità puramente tattica, invece, si manifesta già da tempo, fin dalla prima gara con Spalletti in panchina. Ne abbiamo avuto un altro saggio contro il Legia Varsavia, con diverse trasformazioni nel corso della stessa partita. È per merito di quelle intuizioni che il Napoli è riuscito a vincere una partita più complessa rispetto alle attese. È per la mancanza di quelle stesse intuizioni che il Napoli 2020/21 non è riuscito a centrare la Champions League con una rosa pressoché identica. Sembra che lo stiano capendo un po’ tutti, finalmente.

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