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Raspadori sarà fortissimo ma Paolo Rossi andò in Argentina da capocannoniere col Vicenza

Mancini crede in lui e fa bene a dargli fiducia. Però è un falso mito quello di Pablito comparso dal nulla. Segnava più di tutti. Bearzot si affidò ai numeri.

Raspadori sarà fortissimo ma Paolo Rossi andò in Argentina da capocannoniere col Vicenza

Giacomo Raspadori sarà fortissimo. Non lo mettiamo in dubbio. Non mettiamo in dubbio le sue caratteristiche tecniche né tantomeno le capacità da talent-scout di Roberto Mancini uno che ha segnato il suo primo gol in Serie A a sedici anni e undici mesi. Auguriamo a Raspadori un grande Europeo e una luminosa carriera in Nazionale e fuori dalla Nazionale. Non è questo un articolo scettico nei confronti della sua convocazione. Anzi, ben venga l’Italia che sperimenta in occasione di un appuntamento importante, ben venga l’Italia che responsabilizza i giovani talenti.

Però a nostro avviso, numeri alla mano, il paragone con Paolo Rossi non regge. Perché sì, Enzo Bearzot lo portò ai Mondiali in Argentina con appena due presenze in Nazionale e di fatto con una sola stagione in Serie A. Ma quella stagione, con la maglia del Vicenza, Paolo Rossi la concluse col titolo di capocannoniere: 24 reti in 30 partite con una neopromossa che arrivò seconda. Quella di Bearzot fu una scommessa per modo di dire. Molto più semplicemente, il vecio si comportò all’americana: fece parlare il campo. Portò in Argentina Pulici e Graziani, oltre a Bettega ovviamente, ma non unì alla compagnia – tanto per fare un nome – Ezio Sella quella stagione autore di 7 reti. No. Aggregò alla Nazionale il centravanti che dominò la classifica marcatori. Savoldi, secondo, finì otto gol dietro: 16. E Paolo Rossi 24 reti li segnò nel Vicenza di Giambattista Fabbri, con Filippi Faloppa Guidetti Cerilli Salvi. Non nella Juventus.

Ripetiamo. Raspadori sarà fortissimo. Ma al momento non c’entra niente con Paolo Rossi. Il non ancora Pablito era stato per due anni consecutivi il miglior attaccante del proprio campionato: prima in Serie B e poi in Serie A. Era una macchina da gol. È un falso mito quello della sorpresa, del ragazzino comparso dal nulla. Aveva vinto i virtuali Trials. Li aveva dominati. Altrimenti non avrebbe segnato al suo esordio ai Mondiali, contro la Francia. Era un giocatore fatto e finito. Fortissimo. Velocissimo. Dotato di ottima tecnica: basti vedere la disinvoltura con cui chiuse il triangolo con Bettega per il gol vittoria sull’Argentina padrona di casa.

Scriviamo queste righe perché no, in Argentina Paolo Rossi non era affatto un carneade. Era un giovane calciatore che aveva dimostrato di essere il più bravo di tutti a fare gol. Lo aveva dimostrato con i fatti e con i numeri. In Serie B e in Serie A.

La sua storia non può essere assimilata a quella di Raspadori che ha un altro profilo. A 21 anni, non ha mai giocato in Serie B. Ha disputato 39 partite in Serie A e ha segnato 8 reti di cui 6 quest’anno. Sì, due gol li ha segnati a San Siro contro il Milan, uno contro la Roma e uno contro la Juventus. È bravo, ha stoffa. Ma soltanto quattro volte ha giocato tutta la partita. Non c’entra niente con Paolo Rossi che era titolare inamovibile e leader indiscusso di quel Vicenza. Vale più o meno lo stesso ragionamento per Totò Schillaci che nell’88-89 vinse il titolo di capocannoniere in Serie B col Messina allenato da Zeman: 23 reti. E l’anno successivo, prima stagione in Serie A, segnò 15 reti con la Juventus.

Roberto Mancini fa bene a scommettere su Raspadori se crede in Raspadori. Ma non può essere assimilato a Paolo Rossi. Se Raspadori dovesse andar bene, i meriti di Mancini sarebbero decisamente superiori a quelli di Bearzot che agì seguendo una pratica probabilmente poco italiana: si affidò semplicemente ai numeri, al merito, al campo. Cosa che poi non fece, ad esempio, nel 1986 quando lasciò a casa il capocannoniere Roberto Pruzzo e affidò l’attacco – oltre che ad Altobelli – a Nanu Galderisi che in quel campionato di gol ne segnò sei. E infatti quel Mondiale finì come finì.

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