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L’Inter arriverebbe tra le prime quattro in Premier League?

La risposta ce l’abbiamo. Hanno due finaliste in Champions e due semifinaliste in EL. L’Italia s’illude d’essere competitiva. Loro Mourinho l’hanno scartato, da noi è un Cesare

L’Inter arriverebbe tra le prime quattro in Premier League?

La Premier che piazza due squadre in finale di Champions è collegata alle paginate fredde sullo scudetto dell’Inter, in bozza da un paio di mesi abbondanti con i riferimenti temporali in aggiornamento costante. La stampa inglese che snobba l’avventura imperiale (o papale, dipende dai riferimenti fuori scala che scegliamo per renderci ridicoli) di Mourinho è connessa con la beatificazione di Conte. Non li vedete, i puntini. Ma ci sono. Basta unirli e apparirà graficamente la sottodimensione del calcio italiano, pervicacemente aggrappato ad un’idea di sé autoprodotta, appagante: la fumosa illusione di essere concorrenziali con quelli lì.

Quanti degli 82 punti attuali l’Inter avrebbe raccolto in Premier? A che punto della classifica inglese la rintracceremmo, se per magia potessimo sperimentare a piacimento? Lassù tra i due Manchester? Un po’ più in basso, al quarto posto che appartiene al Chelsea finalista di Champions? Vicino a Liverpool ed Everton? E viceversa: davanti a quante squadre italiane si piazzerebbe il Leeds, se giocasse da noi? È lesa maestà paragonare l’indice di difficoltà della Serie A con quella specie di Superlega home made? Gli 80 punti del City possono stare sulla stessa bilancia di quelli dell’Inter, o è un trucco contabile?

La cantilena del miracolo nerazzurro che tocca sorbirci per lo scudetto dominato, le articolesse sterminate sul tocco magico del taumaturgo Conte, la retorica del rullo compressore, sono una deviazione in periferia: esibiamo quel che possiamo, sovrastimando il nostro appeal.

Il valore della Premier League, espresso nella sua manifestazione più clamorosa – il derby in finale di Champions – non è solo quello delle squadre galattiche, dei potentati economici, degli stipendi irriguardosi. Il campionato inglese, per le stesse ragioni di cui sopra, è fatto di squadre di ottimo livello che in Italia lotterebbero pacificamente per la Champions. È questione di qualità media. In Inghilterra per superare il filtro della metà classifica bisogna esser fatti di grana fine.

Che il contesto non faccia la differenza è un pensierino letargico. E puntualmente paghiamo il prezzo di questo miraggio quando in autunno comincia la deflagrazione europea delle nostre “grandi”.

Tocca ribadire che l’Inter di Conte s’è fatta buttare fuori da tutte le coppe a novembre, altro che Brexit. Dissimulando, anzi ostentando, una sicurezza d’intenti incomprensibile. Conte stesso, nelle immancabili interviste celebrative di questi giorni ha più volte sottolineato che la “svolta” è arrivata con l’eliminazione dall’Europa. La “svolta”, l’ha chiamata così.

A Napoli abbiamo scandagliato per bene l’idiozia del concetto stesso di “settimana tipo”, gargantuesco abbaglio di chi lotta per qualificarsi a tornei che poi non riesce a sostenere. All’Inter sono stati più accorti, non hanno mai rivendicato la bellezza della libertà di potersi dedicare in esclusiva allo scudetto. Ma il punto è quello.

L’undici imbalsamato che Conte ha proposto per più di mezza stagione, e col quale ad un certo punto ha staccato le concorrenti, è figlio della stessa inconsistenza. Un ridimensionamento fattuale delle ambizioni, riabilitato dalla buona stampa: il “miracolo” dello scudetto. È una questione di parametri: un campionato che esprime la finale di Champions (e piazza due squadre almeno in semifinale di Europa League) non è uguale a uno che resta chiuso a riccio nella sua stessa mediocrità.

Mourinho arriva a Roma lanciato dalla nostalgia, è vero, ma il carnevale annesso è frutto di un malinteso: in Inghilterra non riusciva a fare la differenza, in Italia può. Perché molto semplicemente il livello della competizione è più basso. La stampa inglese ha snobbato l’evento, e chi s’è arrisicato in qualche analisi l’ha fatto con condiscendenza: Mourinho da noi è un Cesare, per loro è uno scarto. E così da noi Ibrahimovic in età pensionabile fa ancora sfracelli. E’ la stessa linea di tiro, che ci ostiniamo a non valutare.

S’arriva ai primi caldi con i traguardi internazionali occupati da altri, mentre qui premiamo il reset. L’estate azzera tutto, ricomincia il mercato dei sogni, anabolizzato da un milione di trattative che riguardano sempre le stesse squadre. L’Inter ha un mare di debiti, e un allenatore che non sa ancora se resterà. Perché Conte lo sa che il prossimo step è quello del salto nel vuoto. Vinto il campionato italiano, tocca scendere dal pianerottolo e rimettersi in gioco. I bluff hanno vita breve.

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