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I piedi buoni del dottor Fuffo Bernardini

Gli chiedemmo qual fosse il piacere del suo calcio e lui disse: “L’unico piacere del calcio sono i piedi buoni”. Aveva capito che non ci sono tattiche e vittorie senza calciatori che abbiano i piedi “educati”

I piedi buoni del dottor Fuffo Bernardini

Dottor Fuffo, dottor Fuffo, ‘sto soprannome buffo, ma un nome de’ rispetto, dottore di calcio in quegli anni Cinquanta e Sessanta fra allenatori strangers e di frontiera. Appariva sul bordo dei campi vestito di tutto punto con un cappelluccio sbarazzino e, ai piedi, i scarp de tennis (Jannacci) e sembrava venire da un mondo tutto suo, agiato e di cultura, con quella faccia romanesca più che romana, allenatore arguto e sincero. Un ragazzo del 1905, bel fisico e tennista eccellente. Libero pensatore e conversatore ironico.

Fulvio Bernardini, il dottor Fuffo, era un seguace osservante di Aristippo di Cirene. Ne condivideva la prescrizione secondo la quale il fine di ogni azione è il piacere. Gli chiedemmo qual fosse il piacere del suo calcio e il dottor Fuffo disse: “L’unico piacere del calcio sono i piedi buoni”. Aveva capito una gran cosa. Non ci sono tattiche e vittorie senza calciatori che abbiano i piedi “educati” come si dice oggi.

Nato il 28 dicembre 1905, ma registrato all’anagrafe romana l’1 gennaio 1906, Fulvio Bernardini, studentino esemplare, a 14 anni è il portiere della Lazio con una indimenticabile maglia gialla. Smise di stare tra i pali quando il Naples, fondato in una pizzeria dietro l’Università di Napoli, gli fece quattro gol. Erano troppi e in tuffo si fece male alla testa. Le sorelle gli imposero di cambiare ruolo. Passò a fare la mezz’ala, ma non smise di studiare.

Prese al volo una grande occasione. Lasciò la Lazio per l’Inter (1926) che gli garantì un posto in banca, centomila lire d’ingaggio e la frequenza alla Bocconi. Per liberarsi dalla Lazio pagò alla società bianco-celeste ventimila lire in cambiali. Centravanti interista. Giocando molto bene, aveva una sua grazia universitaria.

Si laureò e, core de Roma, dopo due anni piantò Milano, tornò nella capitale e palpitò per undici campionati sotto la casacca giallorossa nel ruolo consolidato di centromediano al Testaccio.

Negli anni Trenta, Bernardini era il calciatore italiano con la maggiore tecnica e la migliore visione del gioco. Pozzo non lo convocò in nazionale: “Sei troppo bravo per giocare con gli altri”. Vittorio Pozzo, torinese, commendatore e ufficiale degli alpini, guardava con più attenzione ai giocatori delle squadre del nord, per carità in gamba anche loro, ma a Bernardini fece uno sgarbo grosso.

Da allenatore il dottor Fuffo cominciò alla periferia del calcio, Reggina e Vicenza, dopo un anno alla Roma. Vinse uno scudetto con la Fiorentina nel 1956: Sarti; Magnini, Cervato; Chiappella, Rosetta, Segato; Julinho, Gratton, Virgili, Montuori, Prini. Aveva scoperto Julinho in Svizzera ai Mondiali del 1954. Disse: “Un’ala può arrivare fino a Julinho, non oltre”.

Alla guida del Bologna beffò Helenio Herrera nel 1964. Il Bologna e l’Inter del Mago finirono il campionato a pari punti. Fu deciso uno spareggio a Roma per assegnare lo scudetto (7 giugno 1964). Il dottor Fuffo portò il suo Bologna a Fregene e lo fece giocare a pallavolo sulla sabbia rovente e sotto il sole. In tal modo preparò la squadra al clima estivo della partita. L’Inter, cotta dal caldo, scoppiò dopo un tempo. Bernardini libero pensatore, ma anche tattico geniale, schierò all’ala sinistra il terzino Capra e lo mandò a marcare il giocatore di maggior talento dell’Inter, Mariolino Corso. L’Inter rimase al buio senza la luce del suo fantastico mancino. Fu il Bologna di Negri; Furlanis, Pavinato; Tumburus, Janich, Fogli; Perani, Nulgarelli, Nielsen, Haller, Capra.

Chiamato sulla panchina della nazionale, dopo il disastro azzurro al Mondiale 1974 in Germania, Bernardini accantonò i vecchi campioni (Rivera, Mazzola, Riva) e lanciò Antognoni, Bettega, Graziani, Gentile. Concesse a Juliano l’ultima partita in nazionale schierandolo a Rotterdam contro l’Olanda.

Prese a scrivere di calcio sui giornali sportivi. Se ne andò a 79 anni. Era il 1984. Aveva potuto festeggiare l’Italia campione del mondo in Spagna nel 1982 sotto la guida di Enzo Bearzot che era stato suo allievo.

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