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Il figlio norvegese di Tognazzi: “L’ho scoperto a 6 anni, dormivo con la foto di Ugo sotto il cuscino”

Intervista a Thomas Tognazzi su Avvenire: “Per me è stato più facile essere suo figlio rispetto ai miei fratelli, in Norvegia non era così famoso”

Il figlio norvegese di Tognazzi: “L’ho scoperto a 6 anni, dormivo con la foto di Ugo sotto il cuscino”

Fino a 6 anni non sapeva di essere il figlio del grande Ugo Tognazzi. Quello che identificava come “papà” era il nuovo marito norvegese della madre, l’attrice Margarete Robsham. Thomas Tognazzi è un regista, ed è norvegese pure lui. Ma è anche uno dei figli di Ugo. E racconta in un’intervista su Avvenire la sua infanzia di “altro” figlio del mitico attore italiano.

«Quando Ugo e mia madre si lasciarono, dopo tre anni di matrimonio, si risposarono abbastanza presto e Margarete ebbe dal nuovo marito una bambina. Io davo per scontato che lui fosse mio padre, finché mia nonna si decise a dirmi la verità. Chiesi conferma a mia madre che mi mostrò una foto del mio vero padre. Decisi di tenerla io, e per un anno vissi con lei, andavo a dormire con quella foto. L’esigenza, anzi, il desiderio di sapere chi fosse questo padre ignoto, si faceva più forte, finché a sette anni chiesi di conoscerlo. Lei si commosse: “Anche lui vuole conoscerti”, mi rispose. Così lo andammo a trovare in Ungheria, dove Ugo girava un film. E l’estate andai a trovarlo a Roma».

Thomas dice che ha potuto essere un Tognazzi senza soffrire dell’ombra paterna:

«Per me è stato più facile che per i miei fratelli, perché Ugo non era molto famoso in Norvegia. Piuttosto è più famosa la famiglia Robsham, mia madre come attrice, mia sorella regista, un’altra sorella produttrice, anche i miei due figli lavorano nel cinema. Invece Gianmarco, Maria Sole e Ricky hanno sempre dovuto fare i conti col nostro cognome mentre cercavano la loro strada, non senza frustrazioni. Quando uscì “La grande abbuffata”, invece, ebbe un grande successo anche in Norvegia. All’epoca ero un punk e avevo degli amici squatter che parlavano di questo film fantastico e io non sapevo se potevo dire che il protagonista era mio padre e che conoscevo gente come Sergio Leone e Ennio Morricone…».

«La prima volta che ritrovai su un set con mio padre ricordo che facevano cadere la neve falsa, che aveva una puzza orrenda, una cosa stranissima per me che vivevo in mezzo alla neve vera. E poi venivano tanti artisti e registi a trovarlo a Tor Vajanica o a Velletri. Quando venne Bertolucci, io speravo fosse il tennista. Da bambino volevo incontrare i calciatori, Facchetti, Zoff… però poi sono diventato fan di Ettore Scola, il mio regista preferito insieme a Fellini, che è stato per me una fonte di ispirazione. Scola è stato sottovalutato in Italia, mentre invece i suoi film arrivavano all’estero. Se Ugo Tognazzi avesse fatto una “Giornata particolare” o “C’eravamo tanto amati” sarebbe stato più famoso fuori dall’Italia».

E ricorda il trauma della morte del papà:

«Io avevo 26 anni quando è morto – il 27 ottobre 1990 – Era depresso alla fine, sembrava più vecchio della sua età. Pensavo che sarebbe vissuto molto più a lungo. A un certo punto, ebbi paura di venire a sapere che Ugo fosse morto attraverso un giornale. Un giorno Ricki mi ha chiamato per dirmi di prendere il primo aereo perché papà era grave. Il viaggio durò 10 ore, quando sono arrivato era troppo tardi. Sia io che Ricky ci siamo confidati di avere sognato spesso che Ugo tornava, che non era mai morto. Qui ogni volta che faccio un film mi piacerebbe che lui potesse vederlo. Anche Gianmarco avrebbe voluto dimostrare al padre che è diventato un artista capace. Ricky era grande, era quello che parlava di più con papà, e pensavo che crescendo anch’io avrei avuto un rapporto così… Oggi penso che non sono riuscito a conoscerlo benissimo…».

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