Il racconto al Clarín di Argentina 78: «Mi fermarono con una pistola, scappai e aspettavo soltanto il colpo. Poi sentii la macchina andar via»
A 42 anni dal Mondiale in Argentina del ‘78 Leopoldo Jacinto Luque,in un’intervista al Clarín ha rivelato per la prima volta dei retroscena inquietanti su quello che fu un Mondiale molto controverso. La vittoria dei padroni di casa fu vita da molti come un tentativo di occultare gli orrori della dittatura di Jorge Rafael Videla, e distogliere l’attenzione da ciò che infatti torno succedeva nel Paese a due passi dagli stessi stadi dove si giocavano le partite di calcio
“Mi fa rabbia quando dicono che diventammo campioni grazie alla dittatura. Dicevano che andavamo in giro coi militari, invece mi hanno sequestrato, derubato e per miracolo non mi hanno anche ucciso. Ti dico: quando iniziai a camminare verso la radura nella mia testa aspettavo solo il suono dello sparo, il ‘Puum’ che mi avrebbe ucciso”.
Ha raccontato l’ex attaccante del River Plate ha raccontato scendendo nei dettagli:
“Mi rincorse un uomo, aveva in una mano il distintivo della Polizia e nell’altra una pistola. Mi si avvicinò e mi chiese i documenti, io li avevo nel portaoggetti. Mi disse: ‘Stai tranquillo perché altrimenti ti stacco la testa con un proiettile’. E ancora: ‘Non alzare la testa, perché te la faccio volare’. Fino a che mi chiese di scendere dall’auto, fu un in quel momento che vidi la macchina che li accompagnava. Scappai tra le erbacce e strinsi i denti, aspettavo solo il proiettile”. Che per fortuna non arrivò:“Sentii andar via un’automobile, era la mia. Mi fermai e respirai”.
Luque è stato fortunato perché ci rimise solo l’auto, del denaro e alcuni preziosi. Più tardi scopri che a rapinarlo era stato un militare ma per paura non ha mai detto nulla
“Per paura non dissi nulla”.