Paginone su El Pais: “Setién ha venduto l’anima a un gruppo di trentenni”. Intanto si consuma il dibattito: è meglio vincere o vantarsi di giocare bene?
Il Barcellona si è infilato “in una rotonda senza uscita e non smette di girare”. La metafora d’attacco del Pais rende bene lo strambo processo mediatico che sta affrontando la capolista della Liga. Il principale quotidiano spagnolo dedica alla “crisi” d’identità blaugrana un paginone. Rendendo perfettamente l’unicità della situazione: si tratta il momento attuale della squadra di Setién come se fosse un dramma. I risultati non contano, il contesto, anzi “la pretesa superiorità morale dell’identità” blaugrana s’è mangiata tutto.
Setién viene descritto come “un allenatore indecifrabile, anch’egli vittima della spersonalizzazione del Barça. Nessuno sa molto bene cosa stia cercando di fare l’ex calciatore che avrebbe dato un dito per giocare nella squadra di Cruyff e che è stato assunto per sedersi in panchina dopo il rifiuto di Xavi e Koeman e il licenziamento di Pochettino”.
Perché – è l’accusa – “non c’è traccia del calcio di Cruyff, ad eccezione di pietre, monumenti e uno stadio dove giocano le donne e il Barça B. Ha perso così tanta identità che alla fine si scoprirà che lo stile su cui l’istituzione Barça ha costruito la sua storia era semplicemente opera di un genio olandese, successivamente dimensionato da un catalano universale di nome Guardiola e incoronato dal miglior calciatore della storia di nome Messi”.
“Il grave rischio che corre il Barcellona – ammette El Pais – è che il suo DNA diventi un problema nominale e non concettuale per coloro che attribuiscono alla squadra una superiorità morale che è irrilevante per il calcio o per qualsiasi sport, se la sua grandezza è misurata dai trofei vinti, la tesi di cui Madrid si vanta da sempre. Non basta mettere Piqué, Busquets, Sergi Roberto e Messi per garantire fedeltà all’ideologia del Barça”.
Per essere ancora più diretti: “Il Barcellona ha dimenticato come si gioca a calcio da quando è stato consegnato ai giocatori, e in particolare a un nucleo di trentenni”.
Da quando il dominio è passato dal centrocampo di Xavi e Iniesta al super-tridente di Luis Enrique “la squadra e il club sono caduti preda della nostalgia”. “Setien si chiede le ragioni della sua assunzione, travolto dal dibattito che paralizza il Barcellona: è necessario vincere o vantarsi di giocare bene a calcio?”. Soprattutto “in uno spogliatoio imperfetto e torturato dalla necessità di riconquistare la Champions”.
Il punto è che il povero allenatore sembra “un insegnante contro una classe di veterani che già sanno tutto. Lui ripete la lezione senza tenere conto del fatto che i giocatori non credono nel suo discorso perché si fidano solo di se stessi e della loro esperienza. E, naturalmente, nell’istinto e nel talento di Messi. Non vogliono più educatori, ma preferiscono chi rispetta la loro gerarchia”.
“E Setién ha finito per vendere la sua anima al diavolo, cioé ai giocatori“. “La sensazione è che il Barça difficilmente sarà di nuovo una squadra vincente e molto probabilmente non sarà riconosciuta per il suo gioco”.
A questo punto, è la tesi del Pais – visto che “i veterani a volte possono essere confusi con le leggende, meglio scommettere su giovani come Riqui Puig e Ansu Fati”. “La squadra si sbloccherà solo se si rinfresca e rompe le inerzie che sacrificano giocatori tanto apprezzati dal mercato come Coutinho, Dembélé, Arthur o Griezmann”.