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L’Accademia della Crusca boccia il linguaggio da virus: «Distanziamento sociale è sbagliato»

Repubblica Firenze intervista il presidente: «È stato adottato un linguaggio militare che è servito a legittimare le limitazioni delle libertà personali»

L’Accademia della Crusca boccia il linguaggio da virus: «Distanziamento sociale è sbagliato»

Su Repubblica Firenze un’interessante intervista al presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini. Analizza il cambiamento del linguaggio a causa dell’epidemia di Covid-19. In particolare l’uso di molte metafore belliche e il paragone stesso del virus ad una guerra. Secondo lui il linguaggio militare è servito, tra le altre cose, a «legittimare le limitazioni delle libertà personali».

«Il linguaggio militare ha accompagnato l’uso di provvedimenti molto forti in questo momento di eccezionalità, proprio come in guerra. Ad esempio i Dpcm o il potere del governo. La lingua sembra a volte secondaria, eppure lega vari temi di sostanza, ha implicazioni filosofiche e giuridiche».

Marazzini analizza i termini che sono diventati di uso comune, come ‘quarantena’, ‘congiunti’ e ‘distanziamento sociale’. Un’espressione che definisce sbagliata.

«Penso ad esempio all’espressione “distanziamento sociale”. È sbagliata: sembra voler distruggere la società e invece la vuole conservare. Il gruppo Incipit della Crusca aveva valutato di sostituirla con “distanziamento interpersonale”».

L’Italia ha adottato moltissimi termini inglesi, da ‘covid hospital’ a ‘smart working’, ma non solo.

«Tra i popoli latini, noi siamo sempre pronti a prendere parole straniere. Facciamo un uso totale di “lockdown”, mentre francesi e spagnoli hanno scelto “confinamento”. In alcuni casi c’è più rispetto della propria lingua. Non è una critica, ma una constatazione. Camilleri lamentava questa invadenza nella vita quotidiana».

Il termine ‘lockdown’, spiega, ha subito un’evoluzione storica.

«Prendiamo il termine lockdown: era nato nel contesto giuridico americano per le rivolte delle carceri negli anni ‘80. Poi è passato all’ambiente universitario e dal 2012 a quello sanitario con l’epidemia della Sars. Le parole segnalano sempre qualcosa. Hanno valore anche in ambito medico».

Anche l’uso da parte dell’Oms del termine Covid-19 per indicare il virus ha una spiegazione.

«L’Oms ha sentito prioritario all’inizio di dare un nome alla malattia: Covid-19. Un acronimo neutro. Volevano evitare che venisse chiamata con nomi di popoli o di animali. Il rischio era di avere “l’epidemia cinese” o “di Wuhan”, creando così uno stigma. Com’è stato con la spagnola».

L’epidemia ha rivoluzionato anche l’idea di casa

«L’idea di casa è stata rivoluzionata: in passato alcuni ne hanno criticato il possesso perché la vita si svolge nei luoghi sociali. Il Covid ha fatto riscoprire il valore degli spazi e del vivere insieme. Mentre il termine libertà è stato pesato insieme alla salute: la Costituzione consente limitazioni delle libertà a favore della salute, messo quindi come primo valore. I costituenti nel 1946 avevano già chiaro questo concetto. La pandemia permette di riflettere sulla gerarchia delle parole nella Costituzione».

Marazzini sottolinea anche il pericolo di creare discriminazioni tra le persone a causa del virus.

«Il libro esemplare è I promessi sposi con la figura dell’untore. Abbiamo già assistito ad atti di ostilità tra persone che abitano poco distanti tra loro. Mi ha lasciato perplesso l’atteggiamento di alcune Regioni verso i cittadini di altre, venuti per rifugiarsi o per andare nelle seconde case. Ognuno difende se stesso ma dopo l’emergenza questi flussi saranno graditi per l’economia».

E conclude parlando dei medici, da molti definiti “eroi”.

«Alcuni medici hanno rifiutato questa parola riferita a loro, ma la lingua è uno strumento di tutti e a volte le semplificazioni aiutano a comunicare meglio. Il profilo di un eroe è complesso, cambia nel tempo e può fare scelte che portano a morire con semplicità. Per me possiamo chiamarli eroi, hanno fatto davvero la loro parte»

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