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Il vescovo di Pinerolo: «Non voglio essere un collaboratore del contagio. No alle messe»

Intervista a La Stampa: «Non è cristiano non essere responsabili. Il Covid ci ha fatto riscoprire la spiritualità, che è qualcosa di più profondo della devozione. Se i miei vescovi non staranno vicini alle persone non li lascerò celebrare»

Il vescovo di Pinerolo: «Non voglio essere un collaboratore del contagio. No alle messe»

Su La Stampa un’intervista al vescovo di Pinerolo, Monsignor Derio Olivero. E’ tra i reduci del Covid-19. 40 giorni passati in ospedale, a contatto con la morte. Ha deciso di rimandare le celebrazioni delle messe, nonostante il Governo abbia accordato il permesso di celebrarle.

«Sarò chiaro: io non voglio essere un collaboratore del contagio. Ecco la ragione per cui ho detto no alle messe in questo momento e ho deciso di rimandare la ripartenza delle messe. Guardi, io credo che non basti ricominciare per far tornare tutto com’era prima».

Per un cristiano, spiega, la messa è importante,

«Ma non è cristiano non essere responsabili. E io credo che oggi più che mai dobbiamo esserlo. Il Covid ci ha fatto riscoprire la spiritualità, che è qualcosa di più profondo della devozione. Così, si è veri cristiani. Si può pregare ovunque. Io lo facevo anche dal letto di ospedale».

Mai avuta la paura di morire, mentre era in ospedale. Racconta che

«in quei momenti ero sereno. Il mio corpo era come evaporato, le mie fatiche e preoccupazioni erano distanti. Ero sull’orlo, ma in assoluta pace».

Oggi si sente come rinato, anche perché, dopo la tracheotomia subita, ha dovuto reimparare a bere, mangiare e parlare. Vuole aiutare le persone e per questo sta lavorando con aziende, sindacati e sindaci.

«Il Covid ha portato fame e disperazione, il tema del lavoro è in primo piano. La mia diocesi è pronta anche per questo. Con aziende, sindacati, sindaci stiamo lavorando a progetti per rilanciare il territorio anche economicamente».

Il Cristianesimo, dice, «è relazione».

«Prima di tutto questo mancava l’idea di Comunità. Prima si era concentrati soltanto sull’individuo e le istituzioni, spesso nemiche o sfruttate. Oggi deve rinascere il senso di comunità, il darsi una mano. E la Chiesa deve proporsi in questo modo, perché questo è il suo compito».

I suoi sacerdoti vogliono ripartire con le messe, ma lui ha già inviato loro il suo messaggio.

«Che devono prima di tutto stare vicini alle persone. Ho inviato loro una lettera in cui li invito a telefonare ogni settimana agli anziani, ai malati alle persone disperate della parrocchia. Ecco, questo crea la comunità».

Non tutti lo hanno fatto, durante il picco dell’epidemia.

«Ma ora devono farlo. Se scopro che non lo faranno, non li lascerò celebrare. La messa verrà poi. Prima c’è la rinascita del senso di comunità».

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