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Un telefonino per ridurre la solitudine. Quelle videochiamate unico filo tra pazienti e parenti

Sono l’unico strumento di comunicazione e anche l’unico conforto. Gli operatori sanitari offrono anche il loro smartphone. E persino il funerale, a volte, viene fatto in diretta video

Un telefonino per ridurre la solitudine. Quelle videochiamate unico filo tra pazienti e parenti

Morire ai tempi del Covid-19 vuol dire morire soli. E’ un pensiero straziante. La Stampa oggi racconta, in parte, quest’angoscia terribile.

Racconta che spesso, per salutare i propri affetti, i malati si fanno prestare il telefonino da un medico o da un infermiere, per un’ultima telefonata, magari una videochiamata.

“I familiari sono confinati in uno schermo, presenze care e loro malgrado lontane. Spaventoso, ma è così”.

Un’infermiera di un’ospedale torinese racconta:

«Alcuni ce lo chiedono perché l’insufficienza respiratoria peggiora e capiscono che sta arrivando la fine. Cerchiamo di assecondarli quando non hanno ancora indossato il casco per la ventilazione: con quello non possono parlare, soltanto bere tramite una cannuccia. Oppure lo sfiliamo un attimo, il tempo della telefonata. Per loro è un conforto enorme».

Un conforto per i pazienti e anche per i loro familiari. In un oceano di solitudine.

Ma prima di morire per il virus si rischia di morire di solitudine: l’altro avversario da affrontare quando si arriva all’ultimo miglio, così come durante le cure“.

Umberto Fiandra, dirigente medico della Città della Salute di Torino racconta:

«Per noi è una grande angoscia, come essere in guerra. Ogni giorno un’équipe di medici e psicologi chiama i parenti per aggiornarli sulle condizioni dei pazienti».

Li informano delle loro condizioni e, quando necessario, li preparano al peggio.

«Ci attrezziamo per avere smartphone e tablet da tenere in reparto. Immagini un paziente critico: privato degli affetti e circondato da persone di cui vede solo gli occhi. Immagini anche come noi viviamo certe situazioni. Magari qualche giorno dopo avere prestato il nostro telefono ad un malato scopriamo che non ce l’hanno fatta. È un carico emotivo davvero insostenibile. Come lo affrontiamo? Piangendo: tra di noi o a casa, quando siamo soli».

La solitudine non finisce in ospedale, si estende alla cerimonia funebre, soprattutto se, come spesso capita, i familiari dei pazienti deceduti sono anche loro in quarantena.

Sempre La Stampa riporta la testimonianza di un impresario funebre del torinese.

«Usiamo la tecnologia. A chi lo desidera mandiamole immagini in diretta del funerale attraverso le videochiamate. Cerchiamo di rendere il distacco meno doloroso possibile. Guardi: accompagnare al cimitero il proprio caro è più di un rito. È il distacco stesso. Se non c’è questo passaggio elaborare il lutto è molto difficile».

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