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«I test sierologici possono aiutare ma non sono risolutivi»

Intervista al chimico Cardillo: «Abbiamo il vizio di considerare i test infallibili. La presenza di anticorpi non ci rivela tutto. Ci diranno quanto realmente è letale il virus»

«I test sierologici possono aiutare ma non sono risolutivi»

L’epidemia di coronavirus non è passata. L’emergenza c’è, anche se i numeri di contagi e decessi sono decisamente migliorati, e questo oramai fa sì che tutti si pensi alla benedetta “fase 2”. Non solo noi reclusi in casa da 40 giorni, ma anche il governo, le istituzioni e la sanità. Si pensa a come si potrà fare per allentare le maglie della quarantena. E cominciare a permettere alle persone di tornare al lavoro e ad uscire. Il tutto senza tornare a preoccupanti picchi di contagi. Perché una sola cosa è certa, la battaglia non potrà essere chiusa finché non avremo in commercio un vaccino sicuro per tutti.

Una delle possibilità al vaglio dell’Iss per far partire la “fase 2” sono i test sierologici. Quelli che evidenzierebbero nel sangue la presenza delle immunoglobuline IgG e IgM. Nei giorni scorsi l’epidemiologo dr. Giovanni Rezza nella consueta conferenza stampa al fianco del capo della Protezione Civile Borrelli aveva spento gli entusiasmi degli italiani su questi test. Li aveva definiti non attendibili.

“I test sierologici sono da prendere con cautela. C’è un gruppo di lavoro del Cts di cui fa parte anche l’istituto S. Matteo di Pavia. Non servono a fare diagnosi di infezione in atto, per quello servono i tamponi. Mettono in evidenza gli anticorpi che aiutano a capire se una persona è stata esposta al virus. Per quanto riguarda questi test bisogna dire che fino ad ora le caratteristiche non sono state soddisfacenti. La sensibilità non era al 100% e si sta valutando. Sono utilissimi, servono però a fare un primo screening”.

Cosa sono e come possono essere utilizzati realmente per questa seconda fase dell’emergenza? Lo abbiamo chiesto ad un chimico esperto di biochimica e biologia molecolare, il dr. Giuseppe Cardillo.

«Per dirla in maniera molto semplice, gli attuali test che vengono venduti funzionano come i test di gravidanza. C’è un supporto di nitrocellulosa dove, nella prima zona, c’è un frammento di proteina virale con una “bandierina” attaccata (in gergo tecnico, un tag). Se ho gli anticorpi, questi legheranno il frammento e il liquido che viene aggiunto li trascinerà verso due zone dove ci sono anticorpi di topo (o di coniglio o di capra) anti IgM e anti IgG umane. Poiché il liquido contiene una sostanza che reagisce con il tag sviluppando colore, si formeranno delle zone di accumulo di colore, formando delle linee. Altrimenti scorrerà tutto via.»

Che differenza c’è tra le IgG e le IgM? Servono per identificare chi ha preso il Covid ed è guarito?

«Le IgM sono le prime che vengono prodotte dall’organismo quando viene a contatto con un patogeno, i fanti che vengono mandati in prima linea quando la malattia è all’inizio. Allo stato attuale i sintomi del coronavirus appaiono dopo 5 giorni e le IgM si possono trovare nel sangue dai 7 ai 9 giorni e permangono circa per 12 settimane.

Nel frattempo, si organizza la cavalleria pesante, le IgG, che invece appaiono tra i 12 e 15 giorni dopo. Finché non hai completato la sieroconversione, cioè sono scomparse le IgM e si rilevano solo le IgG, non sai bene cosa stai vedendo e a che fase della malattia sei. Per capirci oggi, probabilmente, in Italia sono il paziente numero 1 di Codogno presenta solo le IgG»

Le IgG sono quelle che identificano l’immunità a un determinato patogeno o virus?

«Esattamente, ma dobbiamo distinguere protezione e immunità. Tutti quelli che non sono venuti a contatto con il patogeno si chiamano suscettibili; una quota di questi viene a contatto con il virus e diventano esposti; la malattia evolve e si formano le difese. Possiamo superare la malattia oppure soccombere. Nel primo caso, siamo immuni ma non è detto che questa immunità sia permanente. Per esempio, in malattie come il morbillo, l’immunità è permanente; in malattie come l’influenza l’immunità è temporanea e prima o poi si ritorna suscettibili. Allo stato attuale, non sappiamo se l’immunità a SARS-CoV-2 sia permanente o temporanea. Per questo, avere le IgG, e solo quelle, oggi non significa che tra 6 mesi si sia ancora immuni

Quindi questo test non potrebbe servirebbe per stabilire chi ha preso il coronavirus e quindi può uscire e chi no?

«Sarebbe complesso farlo solo con questo test, perché ripeto solo il caso 1 di Codogno attualmente dovrebbe avere solo le IgG. Quello che possiamo fare con i test sierologici è individuare gli infetti asintomatici e i suscettibili, che noi oggi non distinguiamo, e stabilire che devono restare a casa. In caso di negatività, il test va ripetuto dopo 9 giorni per avere la certezza che non ci sia stata formazione di IgM. Considerando il periodo di apparizione delle immunoglobuline, il via libera si potrebbe dare ad un soggetto con IgG e IgM dopo un’ulteriore periodo di isolamento di 7 giorni se asintomatico o 15 giorni se pauci-sintomatico (qualche sintomo lieve o moderato) perché, verosimilmente, per 6/7 mesi l’immunità dovrebbe reggere»

I test dunque possono avere una valenza statistica?

«Statistica sicuramente, perché essendo più veloci da fare rispetto ai tamponi possono essere fatti a più persone. I test potrebbero far capire realmente che percentuale della popolazione italiana ha contratto in qualche modo il SARS-CoV-2. Ma attenzione questo potrebbe anche creare problemi, perché potrebbe dimostrare che stiamo tenendo sequestrata una popolazione per un virus che in realtà ha una letalità bassissima, e che il disastro è stato causato solo dall’inettitudine politica più che dal virus in sé.

Si contano i morti, ogni giorno alle 18, però bisogna anche considerare davvero come vengono contati e quali sono morti per il coronavirus. Lo so che è una discussione lunga, ma non si può pensare che una persona 85enne con problemi di diabete e cardiologici sia morta per il coronavirus, queste persone, per quanto sia triste da dire hanno lo 0,7% di probabilità di festeggiare un altro compleanno. E anche i giovani morti potrebbero aver avuto problemi che non sappiamo, se sei un soggetto obeso o cardiopatico, anche se giovane, il virus ti dà la spintarella. Poi molti cadaveri sono stati considerati morti per coronavirus perché avevano la polmonite ma senza che fosse stato effettuato nessun test, magari era una polmonite da Klebsiella pneumoniae o da Mycoplasma pneumoniae o da Haemophilus influenzae o da InfluenzaVirus A (H1N1, H5N1 che forse vi ricordate). Poi sono stati “imbustati” e cremati e non potrai fare i test post mortem»

E riguardo all’affidabilità di questi test?

«Variano a seconda della casa produttrice ovviamente e dipende dai trial test che hai effettuato. Attualmente l’unica azienda che è pronta alla produzione in Italia e che ha avuto la certificazione CE è la DiaSorin, un’azienda con sede in Piemonte, che immagino avrà avuto accesso ai malati di quella regione per testarli. Gli altri sono attualmente prodotti solo in Cina e avrei seri dubbi di affidabilità. La sensibilità e la specificità di un test però non dipendono solo da quanto sei bravo a fabbricare il kit; ci sono comunque delle eccezioni, come gli immunodepressi che producono così poche IgG che potrebbero non essere rilevate; quelli che sono già infetti ed infettivi ma non hanno ancora prodotto anticorpi; quelli che hanno preso un altro coronavirus e magari hanno anticorpi che cross-reagiscono. Anche i tamponi che si fanno per rilevare il SARS-CoV-2 adesso possono dare dei falsi negativi ed è capitato che persone con polmonite interstiziale abbiano avuto tamponi negativi in prima istanza. Questo perché il tampone si effettua nel naso e in gola, ma il virus potrebbe già essere sceso nei polmoni. Poi il tampone si positivizza dopo qualche giorno perché il virus risale. Tutti i test hanno falsi positivi e falsi negativi, bisogna sapere usare la testa e la clinica. Abbiamo la brutta abitudine di pensare che i test siano infallibili. Le diagnosi non dipendono solo dal risultato strumentale ma devono essere fatte mettendo insieme risultato e anamnesi»

 

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