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Crisanti: «Mascherina e guanti anche in casa. In famiglia ci si contagia più che altrove»

Il virologo intervistato dal CorSera: «Sarebbe utile andare nelle case a fare almeno tamponi alle persone con sintomi non gravi. Controllare i familiari e i contatti con i contagiati. Trasferire positivi in strutture ad hoc» 

Crisanti: «Mascherina e guanti anche in casa. In famiglia ci si contagia più che altrove»

Il Corriere della Sera intervista il virologo Andrea Crisanti. Dirige l’Unità complessa diagnostica di Microbiologia a Padova. Suggerisce di usare le mascherine anche in casa.

«Sarà meglio usare mascherina e guanti anche in casa. E, soprattutto, limitare all’indispensabile l’utilizzo degli ambienti domestici condivisi. Mi rendo conto del sacrificio ma i risultati del nostro studio sulle probabilità di essere infettati dimostrano chiaramente l’assoluta efficacia della restrizione».

Una proposta figlia di uno studio sui dati dell’epidemia effettuato con una quarantina fra ricercatori e tecnici divisi in due gruppi di lavoro, uno italiano dell’azienda ospedaliera e dell’Università di Padova, e uno britannico coordinato dal Neil Ferguson dell’Imperial College di Londra.

La ricerca dice che se in famiglia c’è un positivo, il rischio di essere contagiati è 84 volte superiore rispetto alla norma. Se invece si identificano e si isolano gli infetti, la capacità di riproduzione del virus scende subito da 2 a 0,2. Con l’isolamento si elimina del tutto la trasmissione, anche senza imporre misure di contenimento al resto della popolazione.

«In ospedale arrivano a grappoli, interi nuclei familiari. Questo significa che se non si sta attenti le nostre case possono trasformarsi in tanti piccoli focolai di contagio. Diciamo che in questo momento sono più protetti i single. Sarebbe comunque opportuno accompagnare la misura con un’opera seria di informazione. Non è cosa semplice difendersi da un’infezione».

Oltre alla protezione con guanti e mascherine, suggerisce Crisanti, occorrono i tamponi.

«Ci vuole un’azione decisa. Sarebbe utile andare nelle abitazioni a fare i tamponi quantomeno a tutte le persone che hanno accusato sintomi non gravi. Controllare poi i familiari e chi è entrato in contatto con i soggetti contagiati. Non solo. Sarebbe molto utile trasferire tutti i positivi in strutture ad hoc. Naturalmente parlo delle persone che non richiedono un ricovero ospedaliero».

Strutture come gli alberghi, visto che ce ne sono tanti vuoti. Nessun rischio di creare dei lazzaretti, spiega.

«Qui i muri servono a salvare. Qui per tornare a essere liberi e uniti bisogna per forza separarsi. E la fonte di contagio in famiglia è importante, anche più delle altre due: gli indisciplinati che escono, una minoranza, e chi è costretto a lavorare».

Il virologo si dice fiducioso, visti i dati, «anche se i morti sono ancora molti». Ma il rischio zero non esiste. Per tornare alla normalità ci sono cose ben precise da fare.

«Fare tamponi e test sierologici su larga scala in modo da evitare l’introduzione in azienda di dipendenti infetti. In caso di ripartenza del contagio, bisognerà spegnere immediatamente il focolaio. Sarebbe opportuna poi una gradualità territoriale. Riaprirei prima le aree dove il rischio di trasmissione del virus è più basso, tipo Sardegna, province come Cagliari, Oristano. E terrei per ultima la Lombardia, Bergamo in particolare».

Ma bisogna fare in fretta, essere tempestivi.

«Perché mi sento di dire che il male peggiore nella lotta al coronavirus è stata lei: la burocrazia. Si poteva fare tanto e subito»

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