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L’infermiera di Bergamo: «A casa sto lontano dai miei cari perché ho ben impressa la sofferenza dei pazienti»

Al Corriere Bergamo racconta le facce dei degenti: «Rispettate il nostro lavoro anche quando questa emergenza sarà finita. Non sfasciate il pronto soccorso»

L’infermiera di Bergamo: «A casa sto lontano dai miei cari perché ho ben impressa la sofferenza dei pazienti»

Che faccia ha il Covid-19?

«Ha la faccia di quell’80enne che mi guarda confuso sotto il casco della cpap. Di quella signora che chiama la figlia e non si fa toccare da nessuno, ha la faccia di quel ragazzo che dopo 12 giorni di terapia intensiva finalmente sta meglio e mano a mano che gli tolgo qualche presidio, prima un venflon, poi “l’arteria” e il sondino lui mi ringrazia, ha la faccia grigia di chi oggi non ce l’ha fatta, o quella rossa per la febbre troppo alta. Ha la faccia del mio collega che per fare aderire meglio la mascherina si è tagliato barba e capelli. Ha la faccia della mia amica che riconosco solo dagli occhi. Il sudore e la sete, ma non si può bere. Ha la faccia di quel medico che non è abituato a prendere quella decisione e non l’avrebbe mai presa se non ci fosse il coronavirus»

Il Corriere Bergamo intervista un’infermiera dell’ospedale cittadino, il Papa Giovanni.

«Anche quando arrivi a casa mantieni le distanze dagli altri, perché hai impressa la sofferenza dei pazienti curati ogni giorno. Non vorresti mai vedere i tuoi cari al loro posto».

La donna racconta come si è organizzato l’ospedale.

«Sono stati istituiti percorsi “sporchi” e “puliti”. Come durante una malattia tante energie vengono concentrate in un solo punto del corpo. Così anche in questo momento, globuli bianchi, piastrine, globuli rossi, sono stati messi in campo e spostati, concentrati dove serve. Grazie ai corridoi larghi e agli ampi spazi, abbiamo organizzato un reparto subintensivo dove alcuni lavorano in ambiente “pulito” e altri in ambiente “sporco” ovvero a contatto con i pazienti. Tutto è lento. A partire dal decorso della malattia fino al modo di operare per evitare la contaminazione, ogni azione necessita di manovre di disinfezione per procedere all’operazione successiva e rimanere nel protocollo».

E lancia un appello.

«Non dimenticate la nostra professione, siamo il personale meno pagato d’Europa ma siamo il più ricercato all’estero, soprattutto se nel nostro caso abbiamo studiato in università italiane come la Bicocca. Rispettateci anche quando tutto questo sarà finito, non sfasciate il pronto soccorso, perché non smetteremo di lavorare se lo fate, faremo solo molta più fatica. Non giudicateci se siamo stanchi, abbiamo mani veloci, pulite e delicate anche quando è notte e fuori fa freddo e dobbiamo andare senza sapere cosa ci aspetta».

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