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L’omelia dell’uguaglianza di genere nel calcio non vale per Wanda Nara (anche per le donne)

L’ondata di correctness sessuale nel calcio vale per la Nazionale ma evidentemente non per lei che il professionismo non lo pietisce, se lo prende e basta. Proprio come fanno gli uomini

L’omelia dell’uguaglianza di genere nel calcio non vale per Wanda Nara (anche per le donne)

Il correttismo sessuale

Oggi Jack O’ Malley, sul Foglio sportivo, fissa alcuni paletti che andrebbero inseriti nei libri di testo scolastici.

I col­le­ghi che per un me­se han­no twit­ta­to elo­gi al cal­cio fem­mi­ni­le mi ri­cor­da­no i pa­ren­ti che a Na­ta­le di­co­no “che bra­vo” al nipoti­no che re­ci­ta la poe­sia, poi lo man­da­no a guar­da­re i car­to­ni ani­ma­ti nell’al­tra stan­za e ri­co­min­cia­no a par­la­re di la­vo­ro.

Il cor­ret­ti­smo ses­sua­le dei gior­na­li­sti spor­ti­vi ha bi­so­gno di più Ra­fa Na­dal e me­no Da­vid Bec­kham: bene ha risposto il tennista spagnolo numero 2 al mondo a chi gli chiedeva come mai giocasse lui sul Centrale e non la numero 1 delle donne Ashley Barty: “Stai dicendo che lei vale più di me? Con 18 Slam vinti penso di valere più di lei”.

Ci perdoneranno i talebani del politicamente corretto se riportiamo pensieri del genere sul Napolista. Ma, a proposito del femminile nel calcio, c’è un tema di cui i portatori della purezza non parlano mai. Men che meno le donne. Il tema si chiama Wanda Nara. Per lei, stranamente, l’armamentario classico della discriminazione resta nell’armadio. Per lei il “se non ora” non arriva mai. Ma nemmeno il “quando”, se è per questo.

“Se non ora, quando?” con Wanda non vale

Le donne fanno finta che non esista. Né lei né il caso che la vede protagonista. Eppure di procuratori arroganti, maleducati, invasivi, ne è pieno l’universo del calcio. Perché paga soltanto il suo assistito? Lo abbiamo scritto più e più volte sul Napolista. Wanda Nara paga perché lei, donna, non supplica di entrare nel professionismo. Lei sbatte la porta e il professionismo se lo prende. Se lo ritrova sul conto in banca. E se deve fare qualche apprezzamento gradito sulla squadra dove gioca il suo assistito, lo fa. Proprio come fanno i procuratori maschi e pure brutti. Lei non solo è donna, ma è anche bella. Quindi non può essere paladina delle femministe. Le manca, incredibile a dirsi, le phsyque du role.

La fatwa del calcio italiano

Oggi, sul Corriere dello Sport, Giancarlo Dotto affronta l’argomento Icardi. Scrive – secondo noi giustamente – di una fatwa nei suoi confronti. Fatwa in cui rientra persino Arrigo Sacchi che ieri sulla Gazzetta – ormai, da guru consumato, procede al ritmo di un’intervista al giorno – si è spinto a scrivere che “gli acquisti devono corrispondere a valori morali e caratteriali”. Vade retro Icardi. Figura immorale del calcio italiano (e non solo) contro cui si stanno gli scagliando tutti i Max von Sydow del pianeta pallonaro. Con l’obiettivo di annientare il diavolo. Che ovviamente è Wanda-Linda Blair.

Scrive Dotto: «di fatto, da ogni parte, un vero plotone d’esecuzione, in assenza di cause che lo giustifichino. A meno che “la causa” non sia lei, la ragazza di nome Wanda e le sue note esuberanze». Giustamente il noto giornalista si rifiuta di accettare di vivere in una società che non accetti la possibilità per una donna di poter esprimere le proprie idee, anche forti, come fanno mille altri procuratori uomini. “Davvero – si chiede col tonno di chi dubita di vivere ancora in un contesto occidentale – che il problema sia lei, la “Cosa” che gli gira intorno, l’Ape Regina che sottende destini e contratti di Maurito?”

L’ondata di correctness

Quel che sorprende, ripetiamo, è la diversità del metro adottato. In occasione dei mondiali di calcio femminile, l’Italia è stata pervasa da un’ondata di correctness. Guai a chi avanzasse dubbi sulla qualità del gioco, o semplicemente dicesse che quello spettacolo calcistico non sembrasse poi chissà che. Al di là di dati economici che invece procedono in direzione uguale e contraria. Il calcio femminile (non solo la Nazionale femminile) ha fatto registrare ascolti record i cui effetti si sono riverberati sulla vendita delle magliette. Ecco tanto scritto oggi dal Sole 24 Ore:

Il mondiale della svolta. È stata etichettata così la coppa del mondo di Francia 2019 per il calcio femminile. E certo bastano un paio di numeri per dimostrarlo: nel Regno Unito 11,7 milioni (dato record per la Bbc) di persone hanno guardato la sconfitta dell’Inghilterra contro gli Usa e la finale di questi ultimi contro l’Olanda è stata seguita negli States da 14,3 milioni, secondo Fox. Numeri che per Nike, che ha firmato 14 divise su 24, si sono tradotti in ricavi. «Con i Mondiali di Francia abbiamo visto un incremento del 200% della vendita di magliette delle squadre rispetto a quanto registrato 4 anni fa. In particolare, la maglietta statunitense è stata quella che ha registrato il record di vendite (fra uomini e donne) in un’unica stagione attraverso il nostro sito» ha commentato Bert Hoyt, vicepresidente di Nike Emea, in un’intervista con il Sole 24 Ore.

Ben venga. Dati positivi. Il mercato si sta muovendo e la crescita del calcio femminile sarebbe un successo da festeggiare e in ogni caso da incentivare. Ma il successo delle donne nel calcio può e deve avvenire anche nel campo maschile. Una donna che si separa dal marito calciatore e mette su famiglia con un altro calciatore, non è una donna da mettere all’indice. È una donna che vive la propria vita ed esercita la propria libertà. Doverlo rimarcare, peraltro in profonda minoranza, fa impallidire tutte le parole fin qui spese in nome della parità di genere nel pallone.

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