Condò racconta l’allenatore disoccupato più richiesto del momento: uno che è capace di dimettersi se vede che non tutto fila secondo le sue direttive
Sulla Gazzetta dello Sport Parolo COndò traccia il ritratto di Antonio Conte l’allenatore più richiesto, anche se disoccupato
Antonio Conte è il piano A di alcuni e il piano B di altri, oltre che il sogno di chi non se lo può permettere nemmeno come piano C.
Dopo l’addio con il Chelsea c’è stato un anno di riposo per l’allenatore italiano, ma adesso l’elenco delle società che lo vorrebbero in panchina è lungo: Inter (da quando c’è Beppe Marotta), Milan (nel caso Gattuso fallisse il quarto posto), Roma (perché già con la Juventus e poi con il Chelsea accettò l’incarico senza l’iscrizione alla Champions e vinse il campionato), Juve (nonostante il divorzio non proprio indolore).
Il motivo? Condò non ha dubbi Conte è un vincente, ma non solo per i titoli
“Conte è un metodo di lavoro martellante ventiquattro ore su ventiquattro, uno capace di dimettersi se vede che non tutto fila secondo le sue direttive”.
Uno in grado “non solo di provare empatia, ma di generarla”. Un esempio su tutti: l’Europeo del 2000. Salì sull’aereo per Anversa – ricorda Condò – ombroso per la sconfitta subita dalla Juve a Perugia, quando la Nazionale aveva appena perso anche Vieri e Buffon per infortunio. Eppure, appena arrivato, cominciò a caricarsi sulle spalle il gruppo, come se le due ore di volo lo avessero aiutato a fare chiarezza nella mente e lo avessero rasserenato.
“Tanti di quegli azzurri – Francesco Totti, per fare un nome – hanno raccontato nel tempo di aver conosciuto il vero Antonio esattamente in quei giorni, e di essersi affezionati a un uomo molto più ricco della sua immagine di implacabile perfezionista”.
Ma Conte è anche empatia, un allenatore per cui un calciatore farebbe qualsiasi cosa. Lo dimostrano le sue lacrime nella conferenza stampa di chiusura dell’Europeo, dopo la sconfitta ai rigori con la Germania. Lacrime vere, dice Condò, al pensiero di non rivedere più i suoi ragazzi. Ed è questo attaccamento alla squadra, ai suoi ragazzi, oltre al lavoro incessante, il segreto del suo successo. Un uomo che sa entrare in sintonia con i suoi calciatori tanto da spingerli ad un ritmo di allenamento duro e incalzante, quello che ha portato le vittorie, ma che vive in prima persona le sconfitte e non recide i legami di colpo
“Che cosa non faresti per il tuo allenatore, se fosse così?”.